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Una sola dose di vaccino Covid può favorire lo sviluppo di varianti resistenti

Nuove preoccupazioni tra i funzionari sanitari sulla somministrazione di una singola dose anziché due in previsione della possibilità che, nel corso della campagna vaccinale, non ci siano fiale per tutti: “Si teme non solo una protezione insufficiente ma che ciò possa indurre mutazioni resistenti al vaccino”.
A cura di Valeria Aiello
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Le incognite sulla somministrazione di una singola dose di vaccino anziché due non riguardano solo i dubbi circa la protezione conferita da una sola dose. In seguito alle indicazioni del Comitato consultivo per la vaccinazione e l’immunizzazione dell’Agenzia del farmaco britannica, MHRA, il Regno Unito ha deciso di ritardare la somministrazione del richiamo dei vaccini anti-Covid, estendendo a 12 settimane l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda dose, con lo scopo di ampliare al massimo il numero di persone che potranno contare sulla protezione conferita da almeno un’iniezione. Una scelta di sanità pubblica in considerazione della limitata disponibilità di vaccini e in previsione del fatto che, nel corso della campagna vaccinale, non ci siano fiale sufficienti per tutti.

Con solo la prima dose si teme lo sviluppo di varianti resistenti ai vaccini

Il diverso programma di dosaggio, che riguarda sia il vaccino di Pfizer/BionTech sia quello di Oxford/Astrazeneca, sta però facendo discutere, non solo perché l’introduzione di pratiche alternative alle indicazioni riportate nelle schede tecniche rischia di compromettere l’efficacia del vaccino che, se somministrato correttamente, protegge al 90-95% dalle forme sintomatiche di Covid-19. Oltre a ridurre l’efficacia della profilassi che, nel caso di una singola dose di Pzifer/BionTech, scenderebbe attorno al 52%, un ulteriore motivo di incertezza è dovuto al fatto che comportamenti diversi dallo schema vaccinale approvato, come il distanziamento delle dosi oppure la possibilità di una singola iniezione anziché due, possano indurre il virus a mutare, promuovendo lo sviluppo di varianti resistenti ai vaccini.

Una preoccupazione sollevata anche dal presidente della Commissione permanente tedesca per le vaccinazioni, il professor Thomas Mertens che, oltre a sottolineare i dubbi circa “una protezione insufficiente per le persone colpite dal virus se entrambe le dosi non vengono somministrate” a Der Spiegel ha inoltre evidenziato che “si teme che ciò possa favorire lo sviluppo di mutazioni resistenti al vaccino”.

La scelta di rinviare la somministrazione della seconda dose è stata contestata anche negli Usa dal virologo Anthony Fauci, il principale consulente americano per la pandemia di Covid-19, e dalla stessa Food and Drug Administration (FDA) che, in una dichiarazione congiunta del commissario Stephan Hahn e del dottor Peter Marks che dirige la divisione vaccini della FDA, ha chiarito che “suggerire modifiche al dosaggio autorizzato dalla FDA o ai programmi di questi vaccini è prematuro e non solidamente radicato nelle prove disponibili”.

Attualmente, i tre vaccini approvati per l’uso nel Regno Unito, Europa e Stati Uniti, ovvero i preparati di Pfizer/BionTech, Moderna e Astrazeneca/Oxford, prevedono tutti la somministrazione di due dosi, con il richiamo rispettivamente fissato a 3 settimane per il siero prodotto da Pfizer e a 4 settimane per quelli di Moderna e Astrazeneca. D’altra parte di fronte alla limitata disponibilità di vaccini e alla grave situazione epidemiologica, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che l’intervallo tra le due dosi potrà essere esteso a sei settimane, offrendo dunque la possibilità di ritardare la somministrazione della seconda iniezione in particolare ai Paesi in maggiore difficoltà economica e sociale.

In Italia, così come in Europa, si rispetterà l’intervallo previsto dal programma vaccinale così come approvato dall’Agenzia europea del farmaco (EMA), in attesa di dati scientifici a supporto di comportamenti diversi e di conoscere i risultati preliminari della sperimentazione degli altri vaccini in dirittura d’arrivo, tra cui quello monodose sviluppato da Johnson&Johnson, previsti entro la fine di gennaio. Se il vaccino si dimostrerà sicuro e efficace, la formulazione sviluppata dall’unità belga Janssen Pharmaceutica verrà prodotta almeno in 1 miliardo di dosi entro la fine del 2021, di cui oltre 27 milioni destinate all’Italia sulla base degli accordi preliminari di acquisto sottoscritti dalla Commissione europea, che si andranno a sommare alle 40 milioni di dosi del siero prodotto da Astrazeneca per cui il via libera dell'EMA è atteso entro fine gennaio.

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