Coronavirus, quando finisce un’epidemia
Con l'ultimo, stringente decreto firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per arginare la diffusione del coronavirus, in Italia è stata chiusa ogni attività non essenziale. Probabilmente è l'ultimo passo (o uno degli ultimi) prima del definitivo “lockdown”, la chiusura totale che coinvolgerebbe anche le attività produttive ancora aperte (le fabbriche al momento sono in funzione) e il blocco dei trasporti pubblici. Sarebbe la stessa “soluzione finale” attuata a Wuhan, la metropoli da 11 milioni di abitanti nella provincia cinese dello Hubei, dove il virus ha compiuto il salto di specie dall'animale all'uomo (tra il 20 e il 25 novembre, in base a quanto indicato da uno studio italiano), e da dove ha iniziato a diffondersi nel resto del mondo. L'obiettivo di queste misure draconiane così drastiche è arrestare la catena dei contagi, impedire la saturazione dei reparti di rianimazione a causa di un fiume di contagiati (il 10 percento richiede terapia intensiva) e dare il tempo agli scienziati di mettere a punto trattamenti e soprattutto un vaccino in grado di “uccidere” il virus. Lo scopo ultimo è naturalmente estinguere l'epidemia, che adesso ha fatto il salto a pandemia, come annunciato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
Come ogni malattia infettiva emergente, anche la COVID-19 (l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2), è caratterizza dal cosiddetto fattore R0, ovvero il "tasso netto di riproduzione", che misura la trasmissibilità (potenziale) di una malattia infettiva all'interno di una comunità non vaccinata. In parole semplici, rappresenta il numero medio delle persone che ciascun contagiato dalla malattia riesce a infettare, trovando strade aperte poiché nessuno ne è immune (perlomeno all'inizio dell'epidemia). Maggiore è l'R0 e più veloce è l'epidemia, ha dichiarato il medico ed epidemiologo David Fisman della Scuola di Sanità Pubblica “Dalla Lana” dell'Università di Toronto (Canada). Per quanto concerne l'infezione causata dal coronavirus, come specificato a fanpage dal virologo Fabrizio Pregliasco dell'Università degli Studi di Milano, l'R0 è stimato in 2,5. Ogni infetto, in pratica, riesce a contagiare in media più di due persone. Si tratta di una capacità potenziale, dato che non tutti infettano altre persone, ma ce ne sono altre, chiamate “super diffusori”, che possono contagiarne moltissime. Il famoso “paziente 1” di Codogno, quando è stato trasportato all'ospedale, potrebbe aver contagiato diversi pazienti e operatori sanitari poiché i nosocomi sono luoghi molto suscettibili alla diffusione delle epidemie, come dimostrarono anche i casi di SARS e MERS.
Il fattore R0 è fondamentale per vincere la “battaglia” contro un'epidemia; l'obiettivo è farlo scendere sotto 1. Quando ciò avviene, significa che ciascun infetto non riesce infettare altre persone, e l'epidemia va verso la naturale estinzione all'interno di una data comunità. I professori David Fisman e Ashleigh R. Tuite hanno sviluppato un modello matematico in grado di prevedere la diffusione della COVID-19, uno strumento che mostra le curve di crescita epidemiologiche costantemente sotto le lenti d'ingrandimento dagli scienziati. È dall'analisi di queste curve che si riesce a capire in che modo si sta diffondendo l'epidemia in un dato luogo e soprattutto gli effetti delle misure di contenimento adottate. All'interno di una comunità senza vaccini e misure di contenimento, la malattia continua a diffondersi fin quando tutti non vengono infettati, determinando una parte di popolazione immune e un'altra di deceduti. L'obiettivo delle autorità ovviamente è impedire questo scenario; le quarantene, le misure draconiane fino al lockdown servono proprio a far rallentare la curva di crescita dei contagi anticipando i tempi. Un'epidemia si dichiara conclusa quando si sono esauriti due periodi di incubazione completi senza nuovi contagi: nel caso del coronavirus si parla quindi di 30 giorni.
Il "problema" del nuovo coronavirus è legato al fatto che ora ci troviamo innanzi a una pandemia, ciò significa che il virus è diffuso in tutto il mondo, dunque qualora si riuscisse a “estirparlo” in una comunità c'è il rischio di ulteriori fiammate di ritorno per contatti con l'esterno, proprio perché il patogeno è fuori controllo e circola liberamente. Secondo alcuni scienziati il SARS-CoV-2 potrebbe entrare a far parte di quella famiglia di virus endemici, permanentemente presenti nella popolazione umana e tutti responsabili di raffreddori comuni (in questo caso il coronavirus diventerebbe molto meno aggressivo col passare del tempo, secondo gli esperti). Si ipotizza inoltre che la COVID-19 possa diventare una patologia infettiva stagionale come l'influenza, ma si tratta ancora di un'ipotesi sul tavolo e senza alcuna conferma. La speranza è quella di arrivare al più presto a un vaccino, l'arma “definitiva” in grado di debellare anche un virus pandemico come SARS-CoV-2.