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Covid 19

Coronavirus, quali sono i principali fattori di rischio associati alla mortalità

Dall’analisi dei dati e delle cartelle cliniche di 191 pazienti ricoverati in due ospedali di Wuhan, un team di ricerca cinese ha identificato i principali fattori di rischio associati alla mortalità della COVID-19, l’infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2. L’età avanzata con patologie pregresse in cima alla lista.
A cura di Andrea Centini
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Identificati i principali fattori di rischio associati alla mortalità della COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2. Fra essi ci sono l'età avanzata, l'insufficienza organica, la presenza di una sepsi (una risposta immunitaria spropositata all'invasione del patogeno) e problematiche con la coagulazione del sangue. Si tratta di informazioni preziosissime per aiutare i medici a identificare precocemente i pazienti con prognosi infausta; in caso di emergenza estrema come la mancanza di risorse, infatti, durante il Triage gli operatori sanitari potrebbero essere costretti a decidere chi sottoporre al trattamento e chi no.

A determinare i principali fattori di rischio per la mortalità della COVID-19 è stato un team di ricerca cinese guidato da medici e scienziati del Centro di Medicina Respiratoria presso il Peking Union Medical College dell'Accademia cinese delle scienze, che hanno collaborato con i colleghi dell'Ospedale Jinyintan di Wuhan, dell'Ospedale Polmonare di Wuhan, della Scuola di Medicina dell'Università Tsinghua e dell'Ospedale China-Japan Friendship di Pechino. Gli scienziati, guidati dai professori Bin Cao e Zhibo Liu, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato dati e cartelle cliniche di 191 pazienti ricoverati nei due nosocomi di Wuhan, città epicentro dell'epidemia dove tra il 20 e il 25 novembre secondo uno studio italiano il virus ha compiuto il salto di specie. I pazienti coinvolti erano tutti maggiorenni con un'età media di 56 anni, ricoverati tra il 29 dicembre 2019 e il 31 gennaio 2020. Il 68 percento era di sesso maschile e il 48 percento presentava comorbidità, ovvero patologie pregresse, principalmente ipertensione e diabete. In media la febbre perdurava per 12 giorni, mentre la tosse poteva perdurare anche dopo le dimissioni (con carica virale negativa). 137 dei pazienti ricoverati sono stati dimessi (dopo un periodo medio di 22 giorni), mentre 54 sono morti. La proporzione non rispecchia la mortalità della COVID-19, che in base agli ultimi dati diffusi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità si attesta al 3,4 percento (in Italia la letalità apparente è più elevata).

Come indicato, tra i fattori di rischio più rilevanti per la mortalità della COVID-19 vi è l'età avanzata, come dimostrano anche le statistiche dei deceduti in Italia. Nello studio cinese i sopravvissuti avevano un'età media di 52 anni, mentre i deceduti di 69. Chi rischiava di più presentava un punteggio più elevato di“insufficienza d'organo sequenziale valutazione” (SOFA score), che indica sepsi e livelli più alti nel sangue della proteina d-dimero, un segnale per problemi di coagulazione. Altre caratteristiche cliniche rilevate nei pazienti più gravi sono stati leucopenia (carenza globuli bianchi); livelli elevati di Interleuchina-6, ovvero proteine (chiamate citochine) prodotte da macrofagi e linfociti T che stimolano il sistema immunitario a rispondere all'invasione del coronavirus (e che possono essere contrastate con un farmaco immunosoppressore e antiinfiammatorio chiamato Actemra); e concentrazioni elevate della troponina I ad alta sensibilità, un marker specifico per l'attacco cardiaco, poiché associato alla necrosi delle cellule miocardiche.

“L'età avanzata, con segni di sepsi al momento del ricovero, patologie sottostanti come l'ipertensione e il diabete e l'uso prolungato della ventilazione non invasiva sono stati fattori importanti nella morte di questi pazienti. I risultati peggiori nelle persone anziane possono essere dovuti, in parte, all'indebolimento del sistema immunitario correlato all'età e all'aumento dell'infiammazione che potrebbe promuovere la replicazione virale e risposte più prolungate all'infiammazione, causando danni permanenti a cuore, cervello e altri organi”, ha dichiarato il professor Zhibo Liu dell'Ospedale di Jinyintan. Gli scienziati precisano che i dati della ricerca dovranno essere confermati da ulteriori indagini, dato che sussistono alcuni limiti: fra essi il fatto che non tutti i test di laboratorio sono stati eseguiti su tutti i pazienti; la mancanza di antivirali efficaci; il trasferimento in ospedale tardivo di alcuni pazienti e l'esclusione dallo studio di chi al 31 gennaio risultava ancora ricoverato. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.

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