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Covid 19

Coronavirus, le misure di contenimento hanno salvato la vita a 38mila italiani: lo studio

Gli epidemiologi dell’Imperial College di Londra, in prima linea nell’analisi della diffusione della COVID-19 in Europa, hanno determinato che al 31 marzo le misure di contenimento introdotte in Italia per fermare la catena dei contagi da coronavirus hanno salvato la vita a circa 40mila. Nel nostro Paese, secondo gli scienziati britannici, potrebbe essere stato infettato il 10 percento della popolazione.
A cura di Andrea Centini
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Grazie alle misure draconiane imposte dal governo per spezzare la catena dei contagi della COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, in Italia alla data del 31 marzo sarebbero state evitate dalle 13mila alle 84mila vittime. In media, dunque, sarebbe stata salvata la vita a circa 38mila persone con il decreto “Io Resto a Casa” firmato dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, entrato in vigore mercoledì 11 marzo e ulteriormente rafforzato con le misure introdotte in date successive. Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, nel nostro Paese si registrano oltre 101mila contagiati e più di 11.500 decessi, numeri ampiamente sottostimati, come dichiarato a fanpage dal professor Federico Ricci-Tersenghi.

A stimare gli effetti del “lockdown” in Italia (e in altri 10 Paesi europei) in termini di vite salvate è stato un team di ricerca guidato da scienziati britannici del Dipartimento di Malattie Infettive ed Epidemiologia e del Dipartimento di Matematica dell'Imperial College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del WHO Collaborating Centre for Infectious Disease Modelling, del MRC Centre for Global Infectious Disease Analysis e del Dipartimento di Statistica dell'Università di Oxford. Gli scienziati, coordinati dal professor Neil Ferguson, docente della Facoltà di Medicina dell'ateneo londinese, hanno messo a punto un modello statistico – chiamato modello gerarchico bayesiano semi-meccanicistico – in grado di valutare l'impatto degli interventi non farmaceutici (NPI) sul fattore R0 della COVID-19, ovvero sul numero di persone che in media un singolo contagiato può infettare. Tra questi interventi sono contemplati l'isolamento dei casi positivi; la chiusura delle scuole e delle università; il divieto di assembramenti; la chiusura di eventi pubblici; il mantenimento del distanziamento sociale; le quarantene; la creazione delle zone rosse e i veri e propri lockdown, come quello avviato in Italia da una ventina di giorni (benché meno rigido di quello attuato dalle autorità di Pechino a Wuhan)

Dall'analisi dei dati, secondo le stime degli scienziati britannici, il fattore R0 in Italia sarebbe stato portato attorno a 1 (quando è sotto a 1 si riesce a eradicare un'epidemia) proprio l'11 marzo, con l'introduzione del decreto Io Resto a Casa. Naturalmente per vederne gli effetti ci vuole del tempo, tenendo in considerazione il tempo di incubazione della malattia (fino a 14 giorni) e il fatto che dalla comparsa dei sintomi all'eventuale ricovero in ospedale passano altri giorni. Ciò nonostante, il professor Ferguson e colleghi hanno già stimato che il lockdown abbia salvato nel nostro Paese circa 40mila persone alla data del 31 marzo. In Spagna, dove si sta vivendo un'epidemia catastrofica analoga a quella del Nord Italia, alla stessa data le vite salvate sarebbero in media 16mila (tra le 5.400 e le 35mila).

“È certamente un momento difficile per l'Europa, ma i governi hanno preso provvedimenti significativi per garantire che i sistemi sanitari non vengano sopraffatti. Vi sono prove concrete del fatto che questi hanno iniziato a funzionare e hanno appiattito la curva. Riteniamo che molte vite siano state salvate. Tuttavia, è troppo presto per dire se siamo riusciti a controllare completamente le epidemie, e altre decisioni difficili dovranno essere prese nelle prossime settimane”, ha dichiarato il professor Samir Bhatt, tra gli autori dello studio e docente presso la School of Public Health dell'Imperial College di Londra. Gli ha fatto eco il dottor Seth Flaxman, primo autore della ricerca: “Anche se il bilancio delle vittime continua a salire, vediamo abbastanza segnali nei dati per concludere che le azioni sostenute e drastiche intraprese dai governi europei hanno già salvato vite, riducendo il numero di nuove infezioni ogni giorno. Ma poiché questi interventi sono molto recenti nella maggior parte dei Paesi e c'è un ritardo tra infezione e morte, ci vorrà più tempo – da giorni a settimane – affinché questi effetti si riflettano nel numero di morti giornaliere”.

Attraverso il loro modello, gli scienziati britannici stimano inoltre che in Italia potrebbe essere stato contagiato il 9,8 percento della popolazione (ovvero 6 milioni di persone), con una forchetta variabile dal 3,2 al 26 percento. In Germania sarebbe stato contagiato solo lo 0,72 percento della popolazione, e questo spiegherebbe il divario sostanziale tra il numero di decessi sul nostro territorio e quelli nel Paese guidato da Angela Merkel. In Spagna sarebbe stato invece contagiato il 15 percento della popolazione, mentre in Francia viene stimato il 3 percento. Alla luce di questi dati, il virologo Roberto Burioni ha sottolineato su Twitter: “Capite perché i numeri che sentite in tv alle 18 non hanno molto significato? Capite perché l'Italia ha tanti morti in più rispetto alla Germania? Ora capite perché qui ne muoiono più che in Germania?”

La stima del 9,8 percento non è però piaciuta a Giovanni Rezza, il direttore del Dipartimento di Malattie infettive presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). “Bisogna essere molto cauti nell’approssimare la popolazione italiana già infettata dal virus. Pur stimando i colleghi dell’Imperial College di Londra, ritengo davvero improbabile che in Italia sia stato infettato quasi il 10% della popolazione. Facciamo qualche conto: se abbiamo poco più di 70.000 casi positivi, pur moltiplicandoli per dieci per tenere conto dei casi sfuggiti e degli asintomatici, arriveremmo a 700.000 mila. Una cifra molto diversa da quasi 6 milioni. Inoltre bisogna tener conto del fatto che la maggior parte dei casi in Italia si è verificato al Nord, in Lombardia”, ha dichiarato all'ADNKronos lo specialista. Rezza contesta ai colleghi britannici il fatto di non aver tenuto conto degli studi di prevalenza e seriologici e la differenza territoriale (tra regioni) nella diffusione della COVID-19, e che dunque non può riflettere una media nazionale.

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