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Covid 19

Coronavirus difficile da rilevare nei bambini in base ai sintomi: così aumenta rischio di contagio

Dai tamponi rino-faringei e rettali eseguiti su 745 bambini ad alto rischio di contagio è emerso che solo l’1,3 percento ha sviluppato l’infezione, cioè 10 piccoli in tutto. I sintomi rilevati sono stati molto lievi e nessuno dei 10 bambini ha avuto bisogno di terapia intensiva o assistenza respiratoria. A causa della sintomatologia aspecifica può essere molto difficile identificare la COVID-19 nei piccoli, un dettaglio che aumenta il rischio di diffusione dell’infezione.
A cura di Andrea Centini
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Sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, nel momento in cui stiamo scrivendo a causa della pandemia di coronavirus si registrano nel mondo oltre 204mila casi di contagio e 8.243 decessi. Fra le vittime ad oggi non figura alcun bambino di età compresa fra 0 e 10 anni. Che i più piccoli fossero in qualche modo protetti dal patogeno risultava evidente sin dai primi studi epidemiologici messi a punto dagli scienziati cinesi; ora una nuova indagine “certifica” questa caratteristica della COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus. A causa dei lievi e aspecifici sintomi manifestati dai bambini nella maggior parte dei casi può essere molto complicato identificare quelli colpiti dall'infezione, permettendo loro di diffondere “indisturbati” la patologia.

A condurre la nuova indagine è stato un team di ricerca cinese composto da scienziati di vari istituti dell'Università di Medicina di Guangzhou, tra i quali il Guangzhou Women and Children’s Medical Center, il Clinical Data Center, il Dipartimento di Radiologia e altri ancora. I ricercatori, coordinati dal professor Yi Xu, docente presso il Dipartimento di Pediatria dell'ateneo asiatico, hanno coinvolto in tutto 745 bambini con famigliari infettati dal SARS-CoV-2 e per questo “altamente sospettati” di essere portatori della malattia. Sono stati tutti sottoposti al tampone (sia rino-faringeo che rettale) per la verifica della positività tra il 22 gennaio e il 20 febbraio in un ospedale di Guangzhou. Dai tamponi è emerso che soltanto l'1,3 percento dei piccoli era stato contagiato dal coronavirus, ovvero dieci bambini in tutto, sei maschi e quattro femmine con un'età compresa tra i 2 mesi e i 15 anni.

Nessuno dei piccoli contagiati ha avuto bisogno della terapia intensiva o dell'assistenza respiratoria con un casco CPAP, inoltre non hanno sviluppato letargia, difficoltà respiratorie (dispnea) e nausea, ma soprattutto non si è manifestata la temuta polmonite bilaterale interstiziale, che rappresenta la principale causa di mortalità per i pazienti adulti colpiti dalla COVID-19. Tra i sintomi osservati nei dieci bambini vi erano tosse (5), febbre (7), mal di gola (4), diarrea (3) e rinorrea-congestione nasale (2), manifestazioni aspecifiche che possono accompagnarsi alla comune influenza stagionale, al raffreddore ma anche a molte altre patologie. “Forme lievi e atipiche dell'infezione nei bambini possono rendere difficile la rilevazione e far scambiare la COVID-19 con altre malattie”, ha dichiarato l'autore principale dello studio.

Curiosamente, i tamponi rettali dei bambini sono risultati positivi molto più a lungo rispetto a quelli rino-faringei, e anche questo dettaglio povrebbe essere preso in considerazione per determinare la tempistica della quarantena. Come evidenziato da un recente studio guidato da scienziati dell’Imperial College di Londra, per ogni caso accertato di COVID-19 ce ne sarebbero fra i 5 e i 10 non individuati che circolano nelle comunità, determinando l’80 percento delle nuove infezioni (che avvengono principalmente per contatto stretto in ambito familiare). Un bambino infetto ma asintomatico o debolmente sintomatico potrebbe diffondere rapidamente il virus in famiglia e coinvolgere persone più vulnerabili come i nonni, per questo le misure draconiane come la chiusura delle scuole sono considerate molto importanti dagli scienziati nel contrasto alla pandemia. I dettagli della ricerca cinese sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine.

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