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Covid 19

Coronavirus, anche i bambini possono ammalarsi gravemente: lo studio

Analizzando i casi di oltre 2.100 bambini sottoposti al tampone rino-faringeo per il coronavirus, un team di ricerca cinese guidato da scienziati dell’Università di Shanghai Jiao Tong ha determinato che una piccola percentuale di quelli che si ammalano di COVID-19 può manifestare un’infezione molto grave. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i piccoli presentano sintomi molto lievi.
A cura di Andrea Centini
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Come sottolineato dai Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) americani, alla luce delle evidenze attuali la maggior parte dei bambini colpiti dalla COVID-19 (l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2 manifesta sintomi molto lievi o moderati. Anche la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) aveva affermato che il patogeno sembra “non colpisca in modo aggressivo l’età pediatrica”. E in effetti, ad oggi, fra le oltre 9.100 vittime causate in tutto il mondo dal coronavirus non si registra alcun decesso fra i bambini con un'età compresa fra 0 e 10 anni.

Ciò nonostante i risultati di un nuovo studio condotto in Cina, il più ampio in assoluto con il coinvolgimento di bambini, mostrano che una piccola percentuale può ammalarsi in modo anche molto grave e “critico”. A determinarlo è stato un team di ricerca guidato da scienziati della Facoltà di Medicina presso l'Università di Shanghai Jiao Tong, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Università Medica di Anhui e della Scuola di Salute Pubblica presso l'Università Medica di Nanchino. Gli scienziati, coordinati dal professor Yuanyuan Dong, docente presso lo Shanghai Children’s Medical Center dell'ateneo di Shanghai, hanno coinvolto oltre 2.100 minorenni con un'età compresa tra 0 e 18 anni, tutti esaminati presso i Centri cinesi per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Circa un terzo dei piccoli e degli adolescenti è risultato positivo al tampone rino-faringeo. Fra questi, circa la metà ha manifestato sintomi molto lievi quali febbre, tosse, rinorrea (naso che cola), congestione nasale e manifestazioni gastrointestinali quali diarrea e/o nausea; il 39 percento si è ammalato in modo moderato sviluppando polmonite e altri problemi polmonari, pur senza presentare difficoltà respiratorie (dispnea); il 4 percento non ha avuto alcun sintomo, mentre il restante 6 percento (125 bambini e giovani) ha sviluppato un'infezione molto acuta, che in alcuni casi è stata definita critica e in uno è risultata fatale (un adolescente di 14 anni).

Dall'analisi dei dati è emerso che il 60 percento dei bambini ammalati in modo più serio aveva un'età inferiore ai cinque anni, dei quali 40 erano neonati. Secondo il professor Shilu Tong, tra i principali autori dello studio pubblicato sulla rivista specializzata Pediatrics, ciò si potrebbe spiegare col fatto che a quell'età il sistema immunitario non è ancora ben sviluppato e dunque è possibile che si sviluppi un'infezione grave, anche se statisticamente, come emerso dagli studi epidemiologici condotti in varie parti del mondo, la frazione dei malati sia sensibilmente maggiore fra gli adulti. “Non sono mai stati esposti ai virus prima e quindi non possono innescare una risposta immunitaria efficace”, ha dichiarato al New York Times il professor Andrea Cruz, docente di Pediatria presso il Baylor College of Medicine. Alla luce di questi risultati, “gli ospedali dovrebbero prepararsi per alcuni pazienti pediatrici perché non possiamo escludere del tutto i bambini”, ha specificato al giornale americano il dottor Srinivas Murthy dell'Università della British Columbia.

Nella stragrande maggioranza dei casi, come indicato, i bambini sviluppano sintomi lievissimi. Secondo un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Medicine, può risultare difficile identificare la COVID-19 nei bambini proprio a causa dei sintomi aspecifici che sviluppano, confondibili con quelli di altre condizioni. Ciò suggerisce che potrebbero ammalarsi e diffondere “indisturbati” il patogeno all'interno delle proprie famiglie, col rischio di far ammalare persone più vulnerabili come i nonni.

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