Anticorpi Covid nel 40% dei cervi dalla coda bianca USA: primi contagi nella fauna selvatica
Per la prima volta dall'inizio della pandemia di COVID-19 è stato osservato il contagio da coronavirus SARS-CoV-2 negli animali selvatici. Un'indagine sierologica condotta da scienziati dello U.S. Department of Agriculture’s Animal and Plant Health Inspection Service (USDA/APHIS) – National Wildlife Research Center ha infatti rilevato anticorpi del patogeno pandemico nei campioni biologici dei cervi della coda bianca o cervi della Virginia (Odocoileus virginianus), una specie largamente diffusa in Nord America. Nello specifico, le immunoglobuline sono state rilevate nel 40 percento degli animali analizzati nel 2021. Gli scienziati ritengono che i cervi siano stati esposti al virus entrando in contatto con l'uomo e che probabilmente si sono infettati fra di essi, ma fortunatamente gli ungulati non sembrano soffrire della forma severa della malattia.
Sebbene non si ammalino, tuttavia, il fatto che il virus sia così largamente diffuso nella fauna selvatica rappresenta un pericolo da non sottovalutare nel controllo e nella gestione della pandemia. Circolando in questo modo, infatti, il virus potrebbe dar vita a nuove varianti del SARS-CoV-2 in grado di ripassare all'uomo (spillback), esattamente come avvenuto in un allevamento di visoni in Danimarca, che ha spinto le autorità locali a sterminare oltre 15 milioni di questi mustelidi, tutti quelli ospitati negli allevamenti del Paese. Una vera e propria carneficina, perpetrata ai danni di animali costretti a una vita di sofferenza e privazioni, rinchiusi in gabbie anguste e sovraffollate fino all'uccisione – con una scarica elettrica – per farne pellicce. Il rischio peggiore del virus fuori controllo nella fauna selvatica, come sottolineato dalla virologa Ilaria Capua del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, è quello che la pandemia possa trasformarsi in una panzoozia, col patogeno che continua a diffondersi in più specie saltando dall'una all'altra, continuando a mutare in forme sempre più resistenti e aggressive.
È noto sin dall'inizio della pandemia che il virus è in grado infettare diverse specie animali, come i già citati visoni, altri mustelidi, i cani, i gatti, i gorilla, gli scimpanzé e grandi felini come leoni, tigri e leopardi delle nevi; sono infatti oltre 400 le specie di vertebrati suscettibili al contagio secondo un'indagine genomica condotta dall'Università della California di Davis, ma come indicato, è la prima volta che viene rilevata in animali selvatici come i cervi dalla coda bianca. Delle centinaia di campioni raccolti dal team della dottoressa Susan A. Shriner, in 152 (il 40 percento circa) di quelli prelevati nel 2021 sembrava contenere anticorpi contro il SARS-CoV-2. Sono stati trovati anche in diversi del 2020 e in uno addirittura del 2019; è molto probabile che alcuni siano falsi positivi, ma visti i numeri coinvolti è improbabile che si tratti di un errore così esteso.
Sebbene possa apparire sorprendente che così tanti animali selvatici abbiano anticorpi contro il patogeno pandemico, in realtà non c'è da stupirsi secondo gli esperti. Come spiegato dall'USDA/APHIS a Iflscience, i cervi dalla coda bianca sono estremamente diffusi negli Stati Uniti ed entrano spesso in contatto con gli esseri umani, attraverso la caccia, gli allevamenti e gli incontri in natura. Considerando che si stima che oltre 100 milioni di americani siano risultati positivi al coronavirus, è facile pensare che qualcuno possa aver passato l'infezione ai cervi, che portano recettori suscettibili. Fortunatamente, come indicato, i cervi non sembrano ammalarsi in modo serio, inoltre il rischio che possano ritrasmettere il virus all'uomo è considerato basso. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 exposure in wild white-tailed deer (Odocoileus virginianus)” sono stati caricati sul database BiorXiv in attesa della revisione paritaria e della pubblicazione su una rivista scientifica.