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Covid 19

Anche i topi vengono infettati dalle varianti del coronavirus: quali sono i rischi

Un team di ricerca francese guidato da scienziati dell’Istituto Pasteur di Parigi ha dimostrato che le varianti sudafricana e brasiliana del coronavirus SARS-CoV-2 possono infettare anche i topi. Il ceppo originale di Wuhan e la variante inglese non possono. L’aumento nel numero di specie suscettibili al virus accresce il rischio di panzoozia.
A cura di Andrea Centini
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Le varianti del coronavirus SARS-CoV-2 sono in grado di infettare i topi, mentre non ne è capace il ceppo originale di Wuhan, come dimostrato da molteplici studi. Proprio perché il lignaggio cinese non poteva contagiare i roditori, gli scienziati hanno dovuto fare affidamento a topi e ratti geneticamente modificati (con cellule umane portatrici del recettore ACE-2) per condurre esperimenti sulla COVID-19, l'infezione provocata dal virus. Il fatto che il virus, in un lasso di tempo così breve, abbia acquisito mutazioni tali da permettergli di ampliare il bacino di specie in cui può replicarsi e diffondersi è motivo di grande preoccupazione per gli esperti. Fortunatamente, al momento, non ci sono prove che il virus possa passare dall'uomo ai topi, da un topo all'altro o da un topo all'uomo.

A determinare che le varianti del coronavirus SARS-CoV-2 possono infettare i roditori è stato un team di ricerca francese guidato da scienziati dei centri Evolutionary Genomics of RNA Viruses e Mouse Genetics Laboratory dell'autorevole Istituto Pasteur di Parigi, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola Nazionale di Veterinaria – Unità di Istologia e di Anatomia patologica di Maisons-Alfort, dell'Università di Parigi e del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Pasteur della Guyana francese. Gli scienziati, coordinati dai professori Xavier Montagutelli ed Etienne Simon-Loriere, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver esposto i topi alle particelle virali delle principali varianti di preoccupazione (COV), che presentano mutazioni nella proteina S o Spike in grado di aumentare la trasmissibilità (fino al 90 percento per quella inglese), la letalità e la cosiddetta “fuga immunitaria”, cioè la capacità di sfuggire agli anticorpi neutralizzanti, sia quelli innescati da una precedente infezione naturale che quelli dovuti ai vaccini.

Il professor Montagutelli e i colleghi hanno condotto esperimenti con le tre principali varianti di preoccupazione: la variante inglese B.1.1.7 (o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01); la variante sudafricana B.1.351 (o 501Y.V2); e la variante brasiliana P.1 (o Variant of Concern 202101/02 e 20J / 501Y.V3). Dai risultati dei test è emerso che la variante inglese non è in grado di replicarsi nei canali nasali dei topi, ma vi riescono efficacemente sia quella brasiliana che quella sudafricana. Ciò significa che il virus mutato può effettivamente contagiare i topi, anche se fino ad oggi, come specificato dal genetista e veterinario professor Montagutelli, non sono stati trovati topi in natura contagiati dal patogeno. E come indicato, non ci sono prove che il virus sia in grado di fare salti all'uomo, come invece è stato dimostrato per il coronavirus mutato nei visoni (e che ha portato all'abbattimento di oltre 17 milioni di esemplari negli allevamenti della Danimarca).

Secondo un recente studio dell'Università della California di Davis sono oltre 400 le specie di vertebrati potenzialmente suscettibili al coronavirus SARS-CoV-2, alcune delle quali già risultate infettate, come grandi felini, scimmie, cani e gatti. Ma dato che le varianti sono in grado di infettare anche i topi, non si può escludere che adesso questo bacino di specie si sia ampliato ulteriormente. La presenza del virus in varie specie può dar vita a una cosiddetta panzoozia, una circolazione incontrollata in serbatoi animali che il patogeno può "sfruttare" per sviluppare caratteristiche in grado di renderlo più elusivo, mortale e/o infettivo. I topi vivono a stretto contatto con l'uomo in diversi contesti urbani, ma come dichiarato al New York Times dal dottor Timothy Sheahan, virologo presso l'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, al momento la preoccupazione maggiore è relativa alla circolazione del virus tra gli animali domestici e in quelli di allevamento, con i quali siamo decisamente più vicini. Proprio in questi giorni la Russia ha approvato il primo vaccino anti COVID espressamente pensato per gli animali, il Karnivak-Kov. I dettagli della ricerca francese “The B1.351 and P.1 variants extend SARS-CoV-2 host range to mice” sono stati caricati nel database BiorXiv, in attesa della revisione paritaria e di una pubblicazione su una rivista scientifica.

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