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Dopo il petrolio? Cerchiamo altro petrolio!

Aumentano gli investimenti nella ricerca di altri combustibili fossili che possano prendere il posto del petrolio. Non rinnovabili e molto poco ecologici.
A cura di Roberto Paura
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Il futuro dell’energia è meno green di quanto immaginiamo. Mentre da entrambe le sponde dell’Atlantico sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti sostengono programmi per aumentare significativamente la quota di fonti rinnovabili nel loro bouquet energetico, con il duplice scopo di tagliare le emissioni di gas serra e di ridurre la dipendenza dall’estero, le grandi compagnie energetiche stanno lavorando per allungare il più possibile l’era dei combustibili fossili, allontanando lo spettro del picco di Hubbert: il paventato momento in cui la produzione di petrolio inizierà a declinare inesorabilmente, fino all’estinzione delle riserve petrolifere. Per riuscire nell’intentato, le soluzioni sono diverse: dal miglioramento degli strumenti estrattivi per giacimenti offshore a profondità elevate fino allo sviluppo di combustibili sintetici, passando per tutta una serie di alternative che con il petrolio hanno in comune l’origine fossile, la non rinnovabilità e l’impatto sull’ambiente.

La minaccia del fracking per l'estrazione del gas

Barack Obama si appresta a presentare la nuova strategia energetica USA per aumentare l'estrazione domestica di petrolio e gas.
Barack Obama si appresta a presentare la nuova strategia energetica USA per aumentare l'estrazione domestica di petrolio e gas.

La più importante di queste è nota con diversi nomi: shale gas, gas da argille, gas di scisto, gas naturale. Si tratta di sedimenti fossili sotto forma di rocce argillose la cui frantumazione produce un gas utilizzabile come fonte energetica. La tecnica per estrarlo è la fratturazione idraulica o, com’è nota internazionalmente, il fracking: una tecnica che da qualche anno è al centro di forti polemiche. Non è un caso che lo sfruttamento intensivo dello shale gas sia iniziato solo da circa dieci anni, da quanto cioè la tecnica della frantumazione idraulica è diventata tecnologicamente ed economicamente conveniente. Consiste nel pompare acqua nel sottosuolo, dove sono stati individuati giacimenti di gas, di modo da rompere lo strato di rocce argillose che trattiene il gas e farlo zampillare in superficie insieme all’acqua.

Anche senza tener conto delle preoccupazioni riguardo il possibile impatto del fracking sugli equilibri sismici, attualmente oggetto di attenti studi scientifici e divenuto tema di dibattito pubblico all’indomani del terremoto in Emilia del 2011 (in cui tuttavia il fracking non ha avuto alcun ruolo), i timori maggiori riguardano l’impatto ambientale: lo shale gas è infatti oltre venti volte più dannoso come gas serra dell’anidride carbonica. Si sta investendo molto per minimizzare questi effetti collaterali, e non è un caso: le riserve di gas in Nord America permetterebbero agli USA di ottenere la totale autonomia energetica, così come gli enormi giacimenti presenti in Francia consentirebbero all’Europa di liberarsi dal ricatto delle esportazioni di gas metano della Russia (anche se la Francia ha posto una moratoria sul fracking).

Olio di scisto e petrolio sintetico

Ancora più interessante del gas è l’olio di scisto, o oil shales. L’origine è identica, solo che al posto del gas qui si ha a che fare con una sostanza oleosa e viscosa, simile al petrolio, che può essere estratta solo previo riscaldamento dei depositi di scisto: un procedimento tecnicamente complesso e costoso, che fino a poco tempo fa ha impedito alle compagnie petrolifere di percorrere questa strada. Oggi, sfruttando il fracking e combinandolo con metodi per il riscaldamento elettronico dei depositi sotterranei fino a 700° C, è possibile estrarre l’olio di scisto a prezzi convenienti, almeno finché il prezzo del petrolio resta alto com’è attualmente. Si tratta comunque di un combustibile fossile esauribile, che al massimo dello sfruttamento finirebbe entro due secoli. L’impatto ambientale resterebbe molto alto, peggiorando gli scenari del riscaldamento globale, e aggiungendo a ciò il rischio di infiltrazioni dell’olio di scisto nelle falde acquifere sotterranee.

Un impianto per l'estrazione del gas naturale con la tecnica della fratturazione idraulica (fracking).
Un impianto per l'estrazione del gas naturale con la tecnica della fratturazione idraulica (fracking).

Non sappiamo quando arriverà il picco di Hubbert. C’è chi è convinto che sia già arrivato, e questo spiegherebbe la crescita vertiginosa del prezzo del petrolio negli ultimi anni. C’è chi è certo, soprattutto tra le compagnie petrolifere, che lo sviluppo di nuove tecnologie estrattive per sfruttare giacimenti molto profondi, finora considerati irraggiungibili, specialmente in alto mare (offshore), possa allontanare indefinitamente quel fatidico momento. Nel frattempo, ci si prepara al peggio. Nel corso della Seconda guerra mondiale, il Terzo Reich sfruttò una tecnica per produrre una sorta di petrolio sintetico: tecnica simile a quella che impiegò decenni dopo il Sudafrica dell’apartheid per ridimensionare le conseguenze delle sanzioni internazionali.

Le sabbie bituminose

È possibile ottenere un combustibile in grado di far funzionare le auto a motore diesel a partire dal carbone o dal gas naturale. Sia il carbone che il gas sono molto più abbondanti del petrolio, per cui, invece di usarli direttamente come combustibili (il carbone è molto più inquinante del petrolio), si può impiegarli come elementi di partenza per un combustibile chimico sintetico. In questo senso la sudafricana Sasol ha creato una joint venture con l’americana Chevron, sfruttando anche l’interesse degli Stati Uniti in una indipendenza dalle importazioni di greggio dai paesi arabi, a causa della loro instabilità politica. Le analisi ambientali dimostrano comunque come anche in questo caso l’impatto in termini di emissioni serra ed emissioni nocive sia superiore a quello del petrolio naturale, anche se finora il petrolio sintetico si è dimostrato impiegabile solo per alimentare le autovetture, il cui impatto ambientale sul totale è poca roba.

Un impianto di estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose nella provincia canadese dell'Alberta.
Un impianto di estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose nella provincia canadese dell'Alberta.

Restano infine le sabbie bituminose, che si stanno rivelando un’autentica manna per gli Stati Uniti. La regione più ricca al mondo di questi giacimenti è il Canada, che potrebbe produrne abbastanza da assicurare agli USA la totale indipendenza energetica (se si considera il Canada, paese storicamente amico e alleato, una sorta di “estensione” degli Stati Uniti). Le sabbie bituminose sono giacimenti di petrolio diversi da quelli tradizionali: in esse, il petrolio è mescolato con argilla e sabbia a formare il bitume. In Canada ce n’è abbastanza da rifornire il mondo intero per una sessantina d’anni, ma le ricadute ambientali sono pesantissime. Interi ecosistemi vengono devastati dai sistemi estrattivi: le foreste boreali nella provincia dell’Alberta, in Canada, sono già al collasso. Trovandosi il bitume in strati più superficiali rispetto al petrolio, lo si può estrarre quasi a cielo aperto, inquinando direttamente l’aria circostante. Tutte queste soluzioni ci permetteranno, probabilmente, di rimandare ancora di molti decenni la scelta decisiva sull’energia del futuro, potendo continuare a fare affidamento sui combustibili fossili. Il prezzo che dovremo pagare, tuttavia, sarà probabilmente assai più alto di quello meramente economico.

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