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Polo Nord 2020: la guerra mondiale tra i ghiacci scomparsi

Le preoccupazioni degli osservatori sulle conseguenze geopolitiche della scomparsa dei ghiacci al Polo Nord entro il 2020. La Russia vuole annettersi i fondali per sfruttare le riserve di petrolio.
A cura di Roberto Paura
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Il Polo Nord si sta sciogliendo a ritmo superiore del 60% rispetto a quanto finora previsto. La conferma arriva da CryoSat, il satellite dell’ESA lanciato nel 2010 con il compito di analizzare dallo spazio lo scioglimento stagionale dei ghiacci. Rispetto alla precedente missione IceSat della NASA, CryoSat non porta buone notizie: un’accelerazione del fenomeno prodotto dal riscaldamento globale molto più accentuata delle previsioni più pessimistiche. La causa si chiama “amplificazione artica” ed è dovuta al fatto che il riscaldamento globale è più accentuato proprio ai poli, e soprattutto nell’Artico, dove negli ultimi decenni le temperature medie sono aumentate più di ogni altro luogo nel pianeta, circa due gradi e mezzo, con conseguenze devastanti. Ogni estate l’Artico perde il 13% dei ghiacciai, e il 4% nella stagione invernale. La produzione di nuovo ghiaccio non compensa lo scioglimento dei ghiacciai più antichi, che sono più spessi e resistenti. Mentre le iniziali previsioni fissavano al 2030 la data in cui il Polo Nord sarebbe stato, nella stagione calda, libero dai ghiacci e percorribile, gli ultimi scenari anticipano tale scenario al 2020.

Le ambizioni polari della Russia

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Oltre al tragico problema ambientale, lo scenario preoccupa molto gli analisti politici per le sue conseguenze geopolitiche. Fino a pochi anni fa ignorato dalle grandi potenze, per ovvie ragioni, il Polo Nord è oggi al centro di un nuovo “grande gioco” che vede come protagonista principalmente la Russia. Nell’estate 2007 il governo russo ha reso evidenti le proprie intenzioni piantando la propria bandiera sul fondale del Polo Nord geografico, a 4200 metri di profondità. Inserita all’interno di un cilindro in titanio, la bandiera – piantata per ribadire le proprie rivendicazioni territoriali – è stata portata sul fondo da due mini-sottomarini Mir. In teoria, essendo acque internazionali, il Circolo Polare Artico non appartiene a nessun paese. Ma la Russia vuole dimostrare che la dorsale Lomonosov, una catena montuosa sottomarina del Mar Glaciale Articolo, è in realtà un’estensione della propria piattaforma continentale. Quindi, secondo le leggi internazionali del diritto del mare, l’area della dorsale è russa.

Perché tutto questo accanimento? Il Polo Nord nasconde ricchezze enormi dal punto di vista degli idrocarburi. Con il continuo assottigliarsi, nei prossimi anni, delle riserve petrolifere più superficiali, diverrà sempre più impegnativo estrarre il petrolio dalle riserve negli abissi oceanici. Il Polo Nord racchiude riserve di petrolio e gas per circa 150 miliardi di barili e il riscaldamento globale ne favorirebbe l’accesso grazie allo scioglimento dei ghiacci. Chi possiederà questa ricchezza da qui al 2020 potrebbe assumere la leadership dello scenario energetico mondiale del futuro. Canada e Stati Uniti hanno risposto aumentando gli investimenti in navi rompighiaccio, con lo scopo di sorvegliare costantemente l’Artico nei prossimi anni per evitare appropriazioni indebite da parte della Russia, ma anche della Danimarca che a sua volta vorrebbe dimostrare che la dorsale Lomonosov è in realtà un prolungamento della Groenlandia, di sua proprietà.

Il "grande gioco" del petrolio (e del gas)

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Qualche settimana fa, la Russia ha reso nota la sua intenzione di presentare ufficiale domanda di annessione di un’ampia area del Circolo Polare Articolo (1,2 milioni di km) all’Autorità internazionale per i fondali marini. I russi hanno fatto sapere di essere intenzionati, in prima battuta, a ripulire i fondali dai resti di alcuni sottomarini nucleari abbandonati nei fondali al largo dell’arcipelago di Novaya Zemla, nel mar di Kara, che all’indomani della caduta dell’Unione sovietica divenne una sorta di deposito sommerso di resti della flotta URSS. Saranno recuperati due sommergibili nucleari, il K-27 e il K-159, il primo a 35 metri e il secondo a 250 metri di profondità, per evitare contaminazioni radioattive. Secondo l’Istituto Norvegese per la Ricerca Marina, che ha siglato una partnership con i russi per la bonifica dei fondali, lì sotto potrebbero esserci oltre 15 reattori e 17mila container di sostanze tossiche, alcune anche radioattive.

Ma la bonifica è solo una delle azioni che la Russia sta portando avanti. La ExxonMobil e la compagnia petrolifera russa Rosneft hanno firmato una joint venture per avviare prospezioni sul fondale al largo di Novaya Zemlya. In base alle stime effettuate dagli esperti, il Polo Nord potrebbe custodire circa il 13% delle riserve di petrolio, il 30% di gas naturale e il 20% di gas liquido non ancora scoperto. Tali riserve di idrocarburi sarebbero in buona parte offshore, ma a profondità non eccessive: in alcuni casi a meno di 500 metri di profondità. Molto più a portata di mano delle riserve nel Golfo del Messico, per dirne una. Finora tali riserve restavano inaccessibili per gli iceberg e il ghiaccio che rendono impossibile realizzare piattaforme petrolifere, ma il riscaldamento globale potrebbe presto ovviare a questo problema.

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