Vaccinare gli adulti protegge anche i bambini che ancora non possono vaccinarsi
Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della “mappa delle vaccinazioni” di Our World in Data, nel mondo sono state somministrate 3,54 miliardi di dosi di vaccino anti Covid e 978 milioni di persone risultano completamente immunizzate. Il dato equivale ad appena il 12,5 percento della popolazione mondiale, pertanto siamo ben lungi dal raggiungere – se mai sarà possibile – una sorta di immunità di gregge a livello globale. A maggior ragione se si tiene conto che le persone vaccinate sono concentrate principalmente nei Paesi ricchi, mentre in quelli più poveri il virus può continuare a diffondersi agevolmente. In Italia la situazione è tendenzialmente positiva, considerando 59,4 milioni di dosi somministrate e 24,5 milioni di persone completamente immunizzate (il 40,6 percento della popolazione). Tuttavia c'è ancora una larga fetta della popolazione che non è stata ancora vaccinata, tra chi è in lista d'attesa, chi ha deciso di non fare il vaccino e chi non può riceverlo, ad esempio perché ha meno di 12 anni – al momento non ci sono vaccini approvati per i bambini – o perché con condizioni cliniche che non lo permettono. In altri termini, molte persone non sono ancora protette dal coronavirus SARS-CoV-2 con tutto ciò che comporta, dalla possibilità di ammalarsi della forma grave della COVID-19 alla diffusione del patogeno, che circolando può dar vita a ulteriori varianti di preoccupazione, potenzialmente in grado di eludere anche i vaccini.
Ora un nuovo studio ha dimostrato che vaccinare quante più persone possibili aiuta a proteggere in modo significativo anche chi ancora non può ricevere le dosi, come appunto i bambini e gli immunodepressi. La ricerca è stata condotta in Israele, dove la campagna vaccinale anti Covid è stata tra le più rapide e precoci in assoluto, grazie alla somministrazione del vaccino Comirnaty di Pfizer-BioNTech (al momento il 57,5 percento della popolazione risulta completamente immunizzato). Gli scienziati, coordinati dai professori Tal Patalon e Roy Kishony, rispettivamente del Maccabi Healthcare Services (MHS) e della Facoltà di Biologia del Technion-Israel Institute of Technology di Haifa, hanno analizzato i tassi di vaccinazione e quelli di positività in 177 comunità con un basso tasso di immunizzazione naturale (a causa delle infezioni), tra il 9 dicembre 2020 e il 9 marzo 2021. A quell'epoca il vaccino non era ancora aperto a bambini e adolescenti sotto i 16 anni, pertanto si tratta di una fascia di popolazione ideale per capire quanto la massa di vaccinati è in grado di proteggere anche chi non lo è. Incrociando i dati con i tassi di infezione relativi a periodi in cui i vaccini non erano disponibili, gli scienziati israeliani hanno determinato che le infezioni sotto i 16 anni sono crollate quando la popolazione adulta ha iniziato a vaccinarsi. “In media, per ogni 20 punti percentuali di individui vaccinati in una data popolazione, la frazione di positivi al test tra la popolazione non vaccinata è diminuita di circa il doppio”, hanno scritto il professor Kishony e i colleghi nell'abstract dello studio. In parole semplici, sono emersi con forza gli effetti dell'immunità di comunità, che evidenzia l'importanza sociale della vaccinazione.
Questo risultato è incoraggiante per diverse ragioni: da una parte ci dice che anche se una parte dei vaccinati può infettarsi, ha comunque meno probabilità di diffondere il patogeno agli altri (ad esempio per una carica virale ridotta), dall'altro sottolinea che vaccinando quante più persone possibili possiamo proteggere anche chi non può farlo. Inoltre, come indicato, si riduce la circolazione del patogeno pandemico e si limita il rischio che possa continuare a evolvere e mutare in forme più pericolose. “Dunque vaccinando gli adulti proteggiamo anche i bambini che ancora non possono essere vaccinati e creiamo le condizioni perché le scuole possano restare aperte. Sono dati OGGETTIVI e da questi si deve partire per la discussione politica. Non da scemenze”, ha dichiarato su Twitter il virologo Roberto Burioni, commentando i risultati dello studio e riferendosi alla questione dell'obbligo vaccinale e del Green Pass. “Nella discussione sull'obbligo vaccinale e sul green pass ricordiamo un dato OGGETTIVO: la vaccinazione rende il vaccinato resistente all'infezione e nel raro caso in cui si infetti, è molto meno infettivo (forse per nulla). L'utilità sociale della vaccinazione NON SI DISCUTE”, ha chiosato Burioni. Continuare spediti con la campagna vaccinale, pertanto, è davvero l'unico modo per evitare nuove chiusure e restrizioni, come quelle che abbiamo vissuto nell'ultimo anno e mezzo. I dettagli della ricerca israeliana “Community-level evidence for SARS-CoV-2 vaccine protection of unvaccinated individuals” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine.