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Aggiornamenti sull'influenza

Un vaccino “universale” contro l’influenza?

Un farmaco messo a punto dai ricercatori sembrerebbe essere attivo contro diversi ceppi influenzali, superando il problema dei vaccini tradizionali della perdita d’efficacia. Per adesso la sua sperimentazione, con successo, è avvenuta solo sui furetti.
A cura di Nadia Vitali
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Un vaccino “universale” contro l’influenza da somministrare in un'unica occasione ma la cui efficacia non andrà perduta nel giro di poco tempo come solitamente accade: è il nuovo traguardo che si prefigge la scienza e che, probabilmente, potrebbe essere raggiunto prima del previsto. È noto, infatti, come per ogni ondata stagionale di influenza venga prodotto un differente tipo di vaccino in grado di rispondere e colpire il virus e le sue rapide trasformazioni che, di anno in anno, possono dare vita a ceppi in grado di attaccare l'organismo in maniere talvolta anche imprevedibili.

L’idea del vaccino "jolly" è stata inseguita per decenni e, forse, non è mai stata così prossima a diventare realtà: a spingere all'ottimismo gli scienziati del Centro americano per la ricerca sui vaccini dell'Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive dei National Institutes of Health sono i risultati dell'ultima sperimentazione clinica, pubblicati dalla rivista Nature pochi giorni fa. Al momento il farmaco non è stato ancora testato sugli uomini ma gli esiti del trial clinico condotto sui furetti, generalmente animale di riferimento in questa tipologia di ricerche, apre a prospettive più che positive. Lo studio avrebbe dimostrato come in un colpo solo il vaccino risulti essere un potente scudo per l'organismo, in grado di rendere i piccoli mammiferi immuni a numerose varianti del sottotipo H1N1, circolate in diversi punti del globo dal 1934 al 2007: conclusioni promettenti che, tuttavia, necessiteranno ancora di molti mesi, o magari anni, per poter essere applicate agli uomini.

Sarà infatti indispensabile verificarne non semplicemente la funzionalità ma anche la sicurezza, prima che la scienza possa esultare per una scoperta i cui risvolti potrebbero sembrare, a torto, di poco conto in un mondo dove l'influenza non viene percepita come una minaccia mortale (eccezion fatta per le occasioni straordinarie di pandemie, più o meno ingigantite dai media). Unitamente a ciò, compito dei ricercatori sarà anche individuare ed eventualmente sviluppare tecniche e modi economicamente convenienti per produrre il farmaco. Del resto, ai timori che si diffondono per l'espansione di nuovi ceppi in arrivo da diverse parti del mondo, dal Medio Oriente come dalla Cina, la scienza non può che rispondere mettendo in campo tutti gli strumenti per intensificare il lavoro su eventuali nuove tipologie di vaccini.

Per raggiungere questo risultato, gli studiosi, lavorando in collaborazione con il team di Gary Nabel del gruppo farmaceutico Sanofi, si sono concentrati sulle proteine che si trovano sulla superficie del virus, in particolare sull'emoagglutinina, responsabile dell'adesione di questo alla cellule che ne vengono così infettate. Intervenendo sull'emoagglutinina, i ricercatori ne hanno “unito” alcune caratteristiche con quelle di un'altra proteina, la ferritina, dando vita ad una nanoparticella in grado di auto-assemblarsi in una struttura rinnovata dalla quale emergono otto punte in grado di generare una risposta immunitaria assai più potente di quanto fino ad ora ottenuto, coprendo uno spettro molto più ampio di quanto accade con i normali vaccini stagionali. Il farmaco, infatti, stimola la produzione di anticorpi utili a contrastare almeno due strutture dell’emoagglutinina che si presentano fortemente conservate nel tempo e, dunque, presenti in numerosi ceppi influenzali.

Ricorrendo a tecniche simili di “ibridazione”, in diversi gruppi di ricerca si sta attualmente lavorando ad altri grandi obiettivi della medicina: il vaccino contro l'HIV e contro il virus che causa l'herpes. Gli studiosi hanno inoltre specificato che il prodotto presenterebbe caratteristiche che ne fanno un vaccino assai più sicuro di quelli tradizionali: essendo stato messo a punto attraverso la manipolazione di diversi geni, non viene infatti ottenuto secondo le modalità classiche che prevedono la coltivazione del virus nelle uova o in colture cellulari. Certamente il comprensibile ottimismo degli scienziati non fa dimenticare le insidie che il virus, per sua stessa natura, cela dentro di sé; spiega il dottor Nabel che «È come schiacciare tra le mani un palloncino. Tu premi da una parte e un altro lato ti spunta fuori. I virus sono molto intelligenti e sotto pressione trovano nuovi modi per sfuggire al pericolo». Ma la speranza di aver trovato un modo per aggirare questo furbo nemico dell'organismo, oggi, è decisamente più forte di qualche tempo fa.

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