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Tre mostruosi buchi neri supermassicci scoperti nel cuore della galassia NGC 6240

Grazie allo strumento MUSE 3D installato sul Very Large Telescope (VLT) dell’Osservatorio Europeo Australe (ESO) un team di ricerca internazionale ha individuato tre buchi neri supermassicci al centro della galassia NGC 6240. Ad oggi se ne conoscevano solo due; ciò significa che il corpo galattico è nato dalla fusione di tre galassie. Forse i buchi neri supermassicci si fonderanno fra loro, creando un unico, enorme “cuore di tenebra”.
A cura di Andrea Centini
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NGC 6240. Credit: NASA/ESA/Hubble Heritage Project/Hubble Collaboration/A. Evans
NGC 6240. Credit: NASA/ESA/Hubble Heritage Project/Hubble Collaboration/A. Evans

Nel cuore della galassia NGC 6240 sono stati scoperti tre enormi buchi neri supermassicci, ciascuno dei quali con una massa di oltre 90 milioni di volte superiore a quella del Sole. Ciò significa che l'oggetto celeste, noto per essere un corpo galattico “ultraluminoso all'infrarosso”, non si è originato dalla fusione di due galassie, come si riteneva fino ad oggi, bensì di tre. A scoprire il terzo, elusivo “inquilino” di NGC 6240 – gli altri due erano noti dal 1983 – è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati tedeschi delle università di Gottinga e Potsdam.

Gli scienziati, coordinati dal professor Wolfram Kollatschny, docente di astrofisica presso l'ateneo della Bassa Sassonia, sono riusciti a determinare l'esatta natura dell'affascinante corpo galattico mettendolo nel mirino del Very Large Telescope (VLT), un telescopio dell'Osservatorio Europeo Meridionale (ESO) con un diametro di otto metri, sito sul Cerro Paranal nel deserto di Atacama, in Cile. Nello specifico, Kollatschny e colleghi lo hanno analizzato attraverso lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) 3D installato sul telescopio, uno spettrografo a campo integrale che permette di effettuare osservazioni ad altissima risoluzione. Per migliorare la tecnica di rilevamento gli astrofisici hanno sfruttato anche quattro stelle artificiali generate con luci laser e un sistema di ottica adattativa; in questo modo si è ottenuta una qualità delle immagini paragonabile a quella del celebre Telescopio Spaziale Hubble, artefice di scatti astronomici memorabili, ma con in più tutte le informazioni necessarie per sondare al meglio i segreti della galassia.

I tre buchi neri supermassicci nel cuore della galassia NGC 6240. Credit: P Weilbacher (AIP), NASA, ESA, Hubble Heritage (STScI / AURA) -ESA / Hubble Collaboration e A Evans (University of Virginia, Charlottesville / NRAO / Stony Brook University)
I tre buchi neri supermassicci nel cuore della galassia NGC 6240. Credit: P Weilbacher (AIP), NASA, ESA, Hubble Heritage (STScI / AURA) -ESA / Hubble Collaboration e A Evans (University of Virginia, Charlottesville / NRAO / Stony Brook University)

Grazie ai preziosi dati raccolti dallo strumento i ricercatori sono riusciti a identificare un terzo “nucleo” nel cuore di NGC 6240, relativamente vicino agli altri due. Tutti e tre i buchi neri supermassicci si trovano gravitazionalmente legati in un'area di poco più di 3.200 anni luce di distanza (un kiloparsec), mentre i due più vicini, posti nella zona meridionale del centro galattico, si trovano ad appena 645 anni luce di distanza l'uno dall'altro, ovvero 198 parsec. Questa peculiare combinazione potrebbe far superare il cosiddetto “problema del parsec finale”, in base al quale una coppia di buchi neri supermassicci non può fondersi poiché al di sotto di 3,2 parsec c'è uno spazio troppo ristretto per permettere il decadimento orbitale di oggetti con simile massa; ciò significa che sono destinati a restare per miliardi di anni in equilibrio orbitale fra loro. La presenza di un terzo incomodo, tuttavia, potrebbe sparigliare le carte in tavola e permettere la fusione dei tre oggetti in un unico, mostruoso buco nero supermassiccio. Del resto, già uno solo di essi è oltre 20 volte più massiccio di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio nel cuore della Via Lattea.

La scoperta dello schema triplo nel cuore di NGC 6240, che dista 300 milioni di anni luce dalla Terra, è ritenuta di fondamentale importanza dagli astrofisici, perché può aiutarli a capire il modo in cui si sono formate ed evolute le galassie più grandi dell'Universo conosciuto. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su un comunicato stampa dell'Università Georg-August di Gottinga e sulla rivista scientifica specializzata Astronomy & Astrophysics.

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