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Covid 19

Svelato come le varianti del coronavirus sfuggono agli anticorpi

Sfruttando tecniche di imaging strutturale, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del The Scripps Research Institute di La Jolla (California) ha svelato nel dettaglio come le mutazioni di fuga immunitaria del coronavirus SARS-CoV-2 riescono a resistere agli anticorpi neutralizzanti. Le informazioni raccolte possono portare ad aggiornamenti dei vaccini già approvati e nuovi farmaci più efficaci contro la COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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Particelle del coronavirus su cellule. Credit: NIAID
Particelle del coronavirus su cellule. Credit: NIAID
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Le principali preoccupazioni sulle varianti emergenti del coronavirus SARS-CoV-2 sono legate al rischio di maggiore virulenza/letalità e trasmissibilità, oltre che sulla capacità di resistere agli anticorpi neutralizzanti, sia quelli indotti da una precedente infezione naturale che quelli innescati dalla vaccinazione. Le mutazioni che conferiscono questo "potere" al patogeno pandemico vengono chiamate mutazioni “di fuga immunitaria” e sono state identificate nelle principali varianti di preoccupazione (VoC) attualmente in circolazione: la variante sudafricana B.1.351 o 501Y.V2; la variante brasiliana P.1 (o Variant of Concern 202101/02 – 20J / 501Y.V3); la variante indiana B.1.617 (suddivisa nei sottogruppi “figli” B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3); e anche in casi della variante inglese o B.1.1.7 (o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01). Studiando la struttura del coronavirus con strumenti ad altissima risoluzione (fino alla scala atomica), un gruppo di studiosi è riuscito a svelare dettagli significativi sia sulla posizione che sul modo in cui queste subdole mutazioni riescono a ridurre l'efficacia degli anticorpi neutralizzanti. Si tratta di informazioni preziose per aggiornare i vaccini anti Covid già approvati per l'uso di emergenza e anche per mettere a punto quelli di nuova generazione.

A descrivere nel dettaglio le caratteristiche delle mutazioni di fuga immunitaria del coronavirus SARS-CoV-2 è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani del The Scripps Research Institute di La Jolla (California), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Biochimica dell'Università dell'Illinois di Urbana-Champaign, del Dipartimento di microbiologia medica e prevenzione delle infezioni dei Centri medici dell'Università di Amsterdam (Paesi Bassi), del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia del Weill Medical College dell'Università Cornell di New York, del Ragon Institute of MGH – Harvard / MIT e di altri centri di ricerca. Gli scienziati, coordinati dal professor Ian Wilson, docente di Biologia Strutturale e Presidente del Dipartimento di Biologia Integrativa Strutturale e Computazionale dell'istituto californiano, sono giunti alle loro conclusioni concentrandosi sulle mutazioni K417N, E484K ed N501Y che, da sole o in combinazione, sono presenti nella maggior parte delle principali varianti di preoccupazione circolanti.

Tutte queste mutazioni sono localizzate sulla proteina S o Spike, il “grimaldello biologico” che il coronavirus sfrutta per legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare il processo di replicazione, che è alla base dell'infezione (COVID-19). Nello specifico, esse si trovano in una porzione specifica della proteina chiamata "sito di legame del recettore" o RBS, il punto di aggancio che il virus utilizza per legarsi alle cellule ospiti. Dopo aver testato numerosi anticorpi – ottenuti da convalescenti – che puntano a colpire proprio il sito di legame del recettore, gli scienziati hanno osservato che contro le varianti molti di essi perdono la capacità di legarsi e dunque si riduce la loro efficacia neutralizzante. "Abbiamo analizzato i loro effetti sul legame ACE2 e sulle mutazioni K417N ed E484K su anticorpi neutralizzanti isolati da pazienti COVID-19. Il legame e la neutralizzazione delle due famiglie di anticorpi più frequentemente stimolati (IGHV3-53 / 3-66 e IGHV1-2), che possono entrambi legare l'RBS in modalità di legame alternative, sono soppresse da K417N, E484K o da entrambi. Questi effetti possono essere spiegati strutturalmente dalle loro ampie interazioni con gli anticorpi neutralizzanti dell'RBS", scrivono gli scienziati nell'abstract dello studio. Attraverso tecniche di imaging strutturale, il professor Wilson e i colleghi hanno potuto esaminare nel dettaglio – fin su scala atomica – il modo in cui queste mutazioni riescono ad alterare le interazioni virus-cellula e dunque limitare l'impatto della risposta immunitaria.

La struttura del sito di legame. Credit: Science
La struttura del sito di legame. Credit: Science

“Questo lavoro fornisce una spiegazione strutturale del motivo per cui gli anticorpi indotti dai vaccini COVID-19 o l'infezione naturale dal ceppo pandemico originale sono spesso inefficaci contro queste varianti di preoccupazione”, ha dichiarato l'autore principale dello studio in un comunicato stampa. Fortunatamente le tre mutazioni analizzate non alterano altri siti vulnerabili del virus chiamati CR3022 e S309, pertanto, sebbene riescano ad alterare il sito di legame del recettore inducendo resistenza a molti anticorpi, altri continuano egregiamente a fare il proprio dovere. È per questa ragione che seppur ridotta, l'efficacia dei vaccini osservata contro le varianti negli studi clinici non è azzerata. “Un'implicazione di questo studio è che, nella progettazione di vaccini e terapie anticorpali di prossima generazione, dovremmo considerare di aumentare l'attenzione su altri siti vulnerabili del virus che tendono a non essere influenzati dalle mutazioni trovate nelle varianti di preoccupazione”, ha sottolineato il coautore dello studio Meng Yuan. I dettagli della ricerca “Structural and functional ramifications of antigenic drift in recent SARS-CoV-2 variants” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science.

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