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Sindrome di Down, in Italia 500 casi all’anno: dott.ssa Fatti spiega la trisomia 21

Abbiamo intervistato la dottoressa Letizia Maria Fatti dell’Unità Operativa di Endocrinologia presso l’Istituto Auxologico Italiano sulla sindrome di Down, una condizione legata alla presenza di una copia aggiuntiva del cromosoma 21 e per questo nota anche col nome di trisomia 21. Le risposte dell’esperta.
A cura di Andrea Centini
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La sindrome di Down o trisomia 21 in Italia interessa circa 500 nuovi nati ogni anno, con un'incidenza di un caso ogni mille nascite; ciò la rende la più comune causa di ritardo mentale dovuta a un'alterazione cromosomica. Nonostante siano stati compiuti notevoli progressi sotto il profilo squisitamente medico, l'uguaglianza e i diritti fondamentali per le persone con trisomia 21 sono ancora troppo spesso negati, “a causa di supporti inadeguati, di pregiudizi sociali e di basse aspettative”, come sottolineato dal coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di DOWN (COORDOWN) in occasione della recente campagna “Reasons To Celebrate”. In molti credono si tratti di una malattia, altri che sia una condizione ereditaria. Moltissimi sono gli stereotipi che riguardano le persone con questa condizione. Per comprendere meglio la trisomia 21 abbiamo intervistato la dottoressa Letizia Maria Fatti dell'Unità Operativa di Endocrinologia presso l'Istituto Auxologico Italiano.

Dottoressa Fatti, ci spieghi cos'è la sindrome di Down

È una sindrome con una serie di segni e sintomi legati a un'alterazione cromosomica. Noi tutti abbiamo 23 coppie di cromosomi che sono numerati in ordine progressivo; nella sindrome di Down c'è una cosiddetta trisomia 21, cioè la presenza di un cromosoma 21 aggiuntivo. Esiste la variante a mosaico, nella quale soltanto una parte delle cellule possiede il cromosoma in più, e quella in cui tutta la linea presenta il cromosoma aggiuntivo. Le ripercussioni cliniche sono abbastanza variabili, multiformi. La sindrome si presenta con un deficit intellettivo che può essere di grado variabile, da totalmente invalidante a meno impattante con la vita quotidiana, per cui una parte di questi ragazzi riesce a entrare in progetti di parziale autonomia. Negli ultimi anni anche grazie alla Legge sul Dopo di Noi (112/2016) si riescono ad avere dei sostegni per fare progetti di autonomia.

Quali sono le complicazioni fisiche?

Si manifestano malformazioni congenite di vario tipo. Le più comuni e le più frequenti sono cardiache, ma possono essere presenti anche malformazioni gastroenteriche, urologiche e muscolo-scheletriche. È presente un deficit staturale rispetto all'altezza media dei coetanei; esistono delle tavole di riferimento per la crescita staturale dei pazienti con sindrome di Down. Sono più frequentemente soggetti a patologie autoimmuni e in maniera particolare a patologie della tiroide, oltre che a celiachia e diabete, anche di tipo 1. Sono Diffuse anche alcune malattie del metabolismo, per cui una larga percentuale va incontro a obesità. Hanno spesso problematiche oculistiche – come lo strabismo – che vanno diagnosticate precocemente in maniera tale da poter consentire uno sviluppo adeguato. Nei pazienti è piuttosto frequente anche il cheratocono. Sono molto soggetti ad otiti, anche per una riduzione del diametro del condotto uditivo e a malformazioni del massiccio facciale; non raramente in età adulta vanno incontro a una ipoacusia. Anche questa va corretta per permettere al soggetto la massima integrazione sociale possibile. Anche lo sviluppo dei denti può essere alterato con un sovraffollamento dentario e parodontopatie. Tra i problemi ortopedici si segnalano ginocchio valgo, malformazioni vertebrali e altro ancora, per i quali è possibile approntare una fisioterapia e un intervento dedicato.

Qual è l'aspettativa di vita? Lo stereotipo indica che le persone con sindrome di Down vivano poco

L'aspettativa di vita media dei pazienti con sindrome di Down si è progressivamente allungata. Secondo dati statistici del 2004 si arriva a 60 anni, ma io devo dire che arrivano anche oltre. Anche 65 anni e più; ho seguito alcuni pazienti con sindrome di Down che sono arrivati a 70 anni. Dato che la sindrome di Down è un modello di invecchiamento precoce, diciamo così, ci apre tutto il capitolo delle patologie neurodegenerative e del decadimento cognitivo. Noi abbiamo pensato, su input dell'associazione Vivi Down, associazione di pazienti e parenti che a Milano è molto attiva, di cercare di garantire una valutazione e un trattamento il più possibile multidisciplinare. Loro hanno in sede lo psichiatra, lo psicologo e altri medici di riferimento, e noi come Istituto Auxologico forniamo una serie di valutazioni specialistiche. Siamo partiti dalle valutazioni endocrinologiche geriatriche perché io ho queste due specialità, e poi abbiamo coinvolto via via neurologo, otorino, dietisti. Adesso stiamo coinvolgendo anche i cardiologi in modo tale da garantire una multidisciplinarità con la possibilità che gli specialisti si confrontino fra di loro. Devo dire che le famiglie e i pazienti hanno anche bisogno di figure di riferimento un po' stabili e quindi anche se il Sistema Sanitario Nazionale sta evolvendo verso la non personalizzazione della scelta dello specialista noi abbiamo conservato la possibilità di fare delle visite sempre con gli stessi medici per i pazienti, in maniera tale da rendere più facile la comunicazione e anche migliorare un po' il servizio. Risparmiare anche dei tempi.

Alcuni pensano che la condizione sia ereditaria, come stanno le cose?

No, non è una condizione ereditaria. Fra l'altro le persone con sindrome di Down hanno una fertilità più bassa. È una condizione cromosomica che può essere associata all'età della madre, perché si è visto che mentre le probabilità di avere un figlio con sindrome di Down in una ragazza di 20 anni è di una gravidanza su 1.500, in una donna che ha compiuto 45 anni arriva a essere una su 25.

Anche l'età del padre potrebbe influenzare le probabilità della condizione?

Sì, anche se è meno nota, meno definita questa relazione. Quella con l'età della madre è evidente.

Quali sono i maggiori rischi per una persona con sindrome di Down?

Le complicazioni più serie a rischio di vita in età neonatale sono le malformazioni cardiache congenite e i distress respiratori. Non raramente i bambini alla nascita richiedono un intervento rianimatorio. Come qualità di vita i problemi che impattano di più sono quelli legati alla necessità di un sostegno nelle autonomie.

Com'è cambiato il monitoraggio della condizione dal punto di vista medico nel corso del tempo? Quali sono i controlli raccomandati?

Se non ci sono patologie intercorrenti specifiche, quello che noi stiamo verificando e che funziona è fare dei controlli annuali. È sufficiente una visita internistica annuale se il paziente è in buone condizioni e se è giovane. Annualmente vanno fatti anche una visita oculistica e un controllo della dentatura. In caso di problemi specifici può servire anche una visita dall'otorino, anch'essa annuale. Infine, in maniera specifica a seconda dell'età del paziente e della patologia che è subentrata, sono importanti le visite neurologiche. Non raramente le persone con sindrome di Down hanno anche disturbi del comportamento e quindi alcune hanno bisogno di un follow-up psichiatrico.

Com'è possibile diagnosticare la condizione? Quali sono le procedure prima e dopo la nascita?

Dopo la nascita la diagnosi viene fatta in neonatologia, perché i segni tipici della condizione sono riconoscibili dai pediatri nella stragrande maggioranza dei casi ad occhio nudo. Nei casi in cui magari è presente un mosaicismo, allora la diagnosi può essere un po' più tardiva, all'emergere di difficoltà nell'apprendimento, difficoltà motorie. Prenatalmente ci sono l'amniocentesi, la villocentesi, e anche ecograficamente ci sono alcune caratteristiche indicative come la plica nucale o anche malformazioni cardiache oggettive. Alcune misurazioni antropometriche possono già porre il sospetto. Esiste anche il cosiddetto triplo test, che combina dosaggi, risultati ecografici ect etc. Dunque oggi la diagnosi prenatale è possibile. Molti dei pazienti che vedo io sono nati prima che le tecniche diagnostiche si diffondessero e devo dire che le famiglie sono splendide, è molto raro trovarne qualcuna che dice “l'avessi saputo…”. Chiaramente oggi è possibile questa diagnosi quindi secondo me è anche importante riconoscere la sindrome e che le persone sappiano.

I diritti e l'uguaglianza delle persone con sindrome di Down in molti casi vengono ancora negati. Cosa si può fare per migliorare da questo punto di vista?

Io penso che la divulgazione sia importante su due fronti. Per sensibilizzare la società, gli enti legislativi e l'opinione pubblica, ma anche per coinvolgere le famiglie, perché non raramente si fanno carico totalmente della situazione. Invalidità e accompagnamento sono diritti che tutti riescono a ottenere, ma molto spesso le famiglie si precludono altre possibilità. Quindi credo che il sostegno alle famiglie e alle associazioni di famiglie sia importante per una maggiore consapevolezza. Perché le persone con questa condizione possano sentirsi più accolte e integrate nella società.

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