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Covid 19

Sempre più bambini contagiati dal coronavirus: cosa sta succedendo

Dalla fine dello scorso anno in diversi Paesi è stato riscontrato un incremento significativo dei contagi da coronavirus SARS-CoV-2 tra i bambini e gli adolescenti, divenuto particolarmente evidente in alcune regioni italiane e in Israele all’inizio del 2021. Sul banco degli imputati vi è la circolazione delle nuove varianti del patogeno, sebbene al momento non vi siano prove che colpiscano con maggiore specificità i più piccoli. Ecco cosa sta succedendo.
A cura di Andrea Centini
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Benché la curva dei contagi da coronavirus SARS-CoV-2 stia dando segnali incoraggianti a livello nazionale e internazionale, mostrando una sensibile riduzione dei casi rispetto alle scorse settimane, in alcune aree si sta registrando un'insolita impennata di casi tra bambini e adolescenti, in particolar modo in Italia e in Israele. Com'è ormai è ampiamente noto, la fascia più giovane della popolazione risulta essere quella meno esposta ai rischi della COVID-19 (pur non mancando casi gravi e talvolta anche fatali), per ragioni ancora al vaglio degli scienziati. Una delle ipotesi avanzate è la minore concentrazione sulle cellule del recettore ACE-2, ovvero il “gancio” al quale si aggrappa la proteina S o Spike del coronavirus, interazione che permette al patogeno di distruggere la parete cellulare, invadere la cellula e dare il via alla replicazione che determina l'infezione. In parole semplici, meno recettori uguale meno contagi e casi gravi. Un'altra ipotesi è legata al sistema immunitario, che risulterebbe più efficace nel combattere virus e batteri. Qualunque sia la ragione di questo scudo, alla luce dei nuovi dati sembrerebbe che qualcosa stia cambiando sotto il profilo della trasmissibilità. Che cosa sta succedendo?

Gli indiziati in cima alla lista per questa impennata dei contagi tra bambini e adolescenti sono i nuovi lignaggi del coronavirus SARS-CoV-2, le varianti emergenti, e in particolar modo la variante inglese B.1.1.7 (o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01) e la variante brasiliana (P.1 o B.1.1.248). Si tratta di ceppi caratterizzati da mutazioni a livello della proteina S, che non solo favorirebbero la maggiore contagiosità, ma anche una certa elusività nei confronti della risposta anticorpale, sia quella innescata da precedenti infezioni naturali che dai vaccini (ciò sarebbe particolarmente accentuato per le varianti variante brasiliana e sudafricana). Focolai di varianti inglese e brasiliana sono stati identificati in Umbria, e proprio in questa regione si sta registrando un aumento significativo dei casi tra i bambini attorno ai 10 anni di età. La situazione è talmente delicata che la provincia di Perugia è diventata zona rossa e si ritiene che l'intera regione possa diventarlo al prossimo "cambio di colore". Ma l'aumento delle infezioni tra i bambini è stato rilevato anche in alcune aree della Lombardia e delle Marche, spingendo le amministrazioni locali ad attivare nuovamente la didattica a distanza poco dopo la riapertura delle scuole, in seguito alla lunga chiusura dovuta alle vacanze di Natale e alle precedenti misure restrittive.

Un caso emblematico di questa situazione è stato registrato a Corzano, in provincia di Brescia, dove all'inizio di febbraio il 10 percento della popolazione locale (140 persone su 1.400) è risultato positivo al virus, e il 60 percento dei casi era rappresentato proprio dai bambini, che avrebbero poi diffuso il virus in famiglia. In un recente rapporto dell'Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE) è riportato quanto segue: “Sulla base dei dati consolidati (fino al 24 gennaio) si conferma nell’ultima settimana la tendenza di aumento dell’incidenza nei bambini 0-5 e 6-10 anni, particolarmente evidente in alcune regioni e in modo difforme dall’andamento in tutte le altre fasce di età, inclusa la fascia delle persone con età maggiore di 84 anni, che registrano tassi di incidenza in calo. L’andamento dell’incidenza tra i bambini merita a livello delle singole regioni approfondimenti su focolai specifici, l’eventuale effetto di nuove attività di screening, la caratterizzazione dei ceppi virali circolanti, per identificare eventuali varianti”.

Anche in Israele, dove la rapidissima campagna vaccinale anti COVID sta dando segnali estremamente positivi tra gli adulti, vi è stato un forte incremento di positivi tra i bambini. Nell'articolo “Covid-19: More young children are being infected in Israel and Italy, emerging data suggest” pubblicato sul The British Medical Journal, gli scienziati hanno indicato che nel Paese, nel mese di gennaio, sono stati registrati 50mila casi tra i bambini e adolescenti, un numero superiore rispetto a quanto osservato in qualunque altro mese durante la prima e la seconda ondata della pandemia. Da quando è emersa la variante inglese, inoltre, da metà dicembre in Israele è stato osservato un incremento del 23 percento dei casi positivi tra i piccoli con età inferiore ai 10 anni. Tutti questi dati suggeriscono che le varianti emergenti stiano giocando un ruolo significativo nel boom di contagi fra i più piccoli, ciò nonostante al momento non vi è alcuna prova scientifica che tali ceppi del coronavirus siano specificatamente più trasmissibili tra i bambini. Semplicemente, essendo più contagiosi, colpiscono di più anche la fascia più giovane della popolazione, e poiché proprio in questo periodo sono state riaperte le scuole (almeno in Italia), il virus ha una maggiore opportunità di diffondersi rispetto a prima.

In un recente documento pubblicato dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS), viene specificato: “In termini di trasmissibilità la variante ‘inglese' manifesta un aumento [di casi NDR] per tutte le fasce di età, compresi i bambini. Ci sono ancora molti studi in corso, ma al momento non sembra che la variante inglese abbia come target specifico i bambini, non li infetta in maniera particolare rispetto agli altri. Per quanto riguarda le altre varianti i dati non sono ancora sufficienti a formulare ipotesi”. Fortunatamente, come specificato al British Medical Journal dal professor Cyrille Cohen, ricercatore capo presso il Laboratorio di Immunoterapia dell'Università israeliana Bar-Ilan e membro della task force anti COVID del Paese, al momento non ci sono prove che la variante inglese sia più pericolosa per i bambini, nonostante l'incremento dei contagi, ma alla luce di questa nuova situazione raccomanda cautela nella riapertura delle scuole. “Sebbene io sia convinto che l'istruzione debba essere il primo settore a riaprire vista la sua importanza, è mia opinione personale che dovremmo comunque riaprire gradualmente, finché non capiremo meglio il modello di infezione di questa nuova variante”, ha specificato lo scienziato. La chiusura delle scuole sta avendo un impatto significativo sulla salute mentale, sulla socialità e sulla formazione dei ragazzi, e più tempo resteranno distanti dalle aule, maggiori saranno le conseguenze. Diverse indagini hanno determinato che le scuole non sono centri nevralgici della trasmissione (perlomeno per il ceppo di Wuhan), tuttavia rappresentano sempre un rischio, e la maggiore velocità di trasmissione delle nuove varianti potrebbe cambiare le carte in tavola. Per le istituzioni sarà fondamentale trovare un equilibrio per tutelare la salute dell'intera comunità.

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