Rio de Janeiro, orsi polari in vista
Nell'attesa che si concludano i due giorni di riunioni di Capi di Stato e delegazioni internazionali, Greenpeace fa sentire la propria voce: insoddisfatta della pre-bozza approvata prima dell'apertura, al pari di tutte le ONG e delle associazioni ambientaliste, ha fatto innalzare ieri un orso polare gigante che è andato ad affiancare la celebre statua del Cristo Redentore, simbolo del Brasile e di quella Rio de Janeiro dove, in questi giorni, è in corso il vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile. L'enorme mongolfiera è stata utilizzata per promuovere Save the Arctic, la nuova campagna che ha già raccolto migliaia di adesioni in tutto il mondo (per dare il proprio sostegno, basta firmare l'appello dal sito) e che sta beneficiando dell'appoggio di vip del calibro di Paul McCartney e Penelope Cruz: scopo degli attivisti è quello di puntare l'attenzione sul problema del territorio artico e dei suoi abitanti più celebri ed amati, già minacciati da decenni da tutte le complicazioni conseguenti all'inquinamento.
Salvare l'Artide… e tutti i suoi abitanti! – Costretti a fronteggiare la contaminazione da parte di prodotti chimici, che da molti anni mette in serio pericolo le condizioni di salute di un'intera popolazione, gli orsi polari vivono anche la difficile condizione di sentirsi "mancare il terreno sotto le zampe": lo scioglimento dei ghiacci, che per i candidi mammiferi è chiaramente un grave problema, costituisce però una ghiotta occasione per le grandi compagnie energetiche, sempre più assetate di fronte alla possibilità che il petrolio ci lasci a secco nel giro di un tempo relativamente breve, aprendo la strada ad una crisi economica mondiale la cui unica soluzione potrebbe essere l'allontanamento deciso e definitivo dalla strada dei combustili fossili. Le trivellazioni che, secondo quanto riportato da Greenpeace, la Shell farà partire entro quest'anno potrebbero assestare una sorta di "colpo di grazia" ad una specie che già vive in circostanze piuttosto delicate e che avrebbe diritto ad uno sforzo e ad un impegno comune per la sua salvaguardia: non serve fare appello al ricordo del disastro del Golfo del Messico per comprendere quanto le piattaforme petrolifere possano rappresentare un rischio altissimo, in particolar modo per le (ultime) aree incontaminate (o poco contaminate) del Pianeta.
Ma la trivellazione nelle acque artiche è soltanto uno degli aspetti di una realtà complessa: la pesca, praticata da millenni nei mari nordici dalle popolazioni locali tradizionali, sta assumendo sempre più la forma del sovra-sfruttamento degli stock ittici. Flotte di pescherecci, che riforniscono la grande industria grazie alle loro reti a strascico, giungono con sempre maggiore insistenza nel territorio oltre il circolo polare, mettendo in grave pericolo non soltanto gli orsi ma anche i narvali, i trichechi e tutte le creature che vivono in un ecosistema fragile. L'appello mira, dunque, anche a porre un limite incisivo al distruttivo prelievo dalle acque artiche che, a ritmi sostenuti, potrebbe ridurre anche questo territorio all'esaurimento, come già sta accadendo con le nostrane acque mediterranee. Ecco perché, ora più che mai, c'è bisogno di una santuario nel quale gli orsi polari, assieme alle altre specie che condividono con questi le immacolate distese di ghiaccio, possano essere protetti e tutelati cercando di strappare un territorio ancora disabitato ad una colonizzazione che avrebbe conseguenze letali. E quale luogo migliore per ricordarlo se non il summit di Rio dove dovrebbero decidersi le sorti ambientali di questa Terra? Un pensiero al circolo polare, mentre i leader si apprestano a discutere gli ultimi dettagli di un documento che dovrebbe fornire le linee guida del prossimo decennio, sarebbe più che mai appropriato.