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Covid 19

Quanto proteggono i vaccini Covid contro la variante indiana

Poiché la seconda variante indiana B.1.617.2 è caratterizzata da mutazioni di fuga immunitaria e si ritiene sia più trasmissibile del 50-60 percento della variante inglese B.1.1.7, una sua diffusione potrebbe comportare un aggravamento dei dati epidemiologici. Fortunatamente due i vaccini anti Covid di AstraZeneca e Pfizer hanno dimostrato di essere efficaci contro di essa, ma è fondamentale la seconda dose.
A cura di Andrea Centini
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Tra le varianti emergenti del coronavirus SARS-CoV-2 che preoccupano di più gli esperti vi è sicuramente quella indiana, che nel Paese d'origine sta determinando una vera e propria catastrofe. In base agli ultimi dati riportati nella “mappa del contagio” dell'Università Johns Hopkins, in India dall'inizio della pandemia di COVID-19 sono state registrate oltre 27 milioni di contagi e 311mila morti, che rendono il Paese asiatico il secondo al mondo per infezioni (dopo gli Stati Uniti) e il terzo per vittime (dopo USA e Brasile). La maggior parte dei decessi e dei contagi si è verificata negli ultimi mesi, parallelamente alla diffusione della variante B.1.617, suddivisa in tre lignaggi “figli” chiamati B.1.617.1, B.1.617.2 e B.1.617.3. Quello finito nel mirino degli scienziati è il B.1.617.2, la cosiddetta “seconda variante indiana”, responsabile di un boom di contagi nel Regno Unito e della maggior parte dei casi rilevati in Italia. Se questa variante dovesse iniziare a circolare diffusamente potrebbe rappresentare un serio problema poiché si stima possa essere il 50-60 percento più trasmissibile della variante inglese B.1.1.7, che ha “soppiantato” in Gran Bretagna. Inoltre presenta mutazioni di fuga immunitaria che potrebbero catalizzare il rischio di reinfezione e determinare resistenza (almeno in parte) agli anticorpi neutralizzanti innescati dai vaccini. Fortunatamente le prime indagini indicano che almeno due farmaci sono efficaci contro i casi sintomatici della seconda variante indiana.

Si tratta del Vaxzevria di AstraZeneca e del BNT162b2/Tozinameran (nome commerciale Comirnaty) messo a punto in collaborazione tra il colosso farmaceutico americano Pfizer e la società di biotecnologie tedesca BioNTech. A determinare che questi due vaccini riescono a proteggere dalla variante B.1.617.2 è stato un team di ricerca della Public Health England (PHE), l’agenzia governativa del Dipartimento della Sanità e dell’Assistenza sociale del Regno Unito. Gli scienziati, coordinati dall'epidemiologa Mary Ramsay, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzando i dati delle vaccinazioni fino al 16 maggio, in combinazione con quelli della diffusione dei casi di COVID-19 e del sequenziamento genomico dei campioni virali, necessario per determinare la frequenza delle varianti. Incrociando tutte le informazioni è emerso che i vaccini di AstraZeneca e Pfizer-BioNTech – alla base della campagna vaccinale nel Regno Unito – sono sì efficaci contro la variante indiana, ma è fondamentale la seconda dose.

I dati dimostrano infatti che una singola dose dei due vaccini ha un'efficacia soltanto del 33,5 percento (Intervallo di Confidenza – IC 95 percento: da 20,6 a 44,3) nel prevenire l'infezione sintomatica dovuta alla variante indiana, mentre l'efficacia risulta del 51,1 percento (Intervallo di Confidenza – IC 95 percento: da 47,3 a 54,7) contro i casi sintomatici provocati dalla variante inglese B.1.1.7. Il discorso cambia completamente dopo l'inoculazione della seconda dose. Grazie ad essa, infatti, l'efficacia del vaccino di Pfizer sale all'87,9 percento (IC 95 percento: da 78,2 a 93,2), mentre con quello di AstraZeneca arriva al 59,8 percento (IC 95 percento: da 28,9 a 77,3). Contro la variante inglese l'efficacia della seconda dose è del 93,4 percento (IC 95 percento: da 90,4 a 95,5) col vaccino a mRNA di Pfizer e del 66,1 percento (IC 95 percento: da 54,0 a 75,0) col vaccino a vettore virale di AstraZeneca. Questi dati indicano che la seconda variante indiana presenta una superiore resistenza immunitaria, ma viene efficacemente contrastata dai due farmaci.

Va tenuto presente che questi dati si riferiscono alla patologia sintomatica; gli scienziati della Public Health England si aspettano infatti un'efficacia sensibilmente maggiore contro il ricovero in ospedale e il decesso. A influenzare la minor efficacia del vaccino di AstraZeneca potrebbe esserci il ritardo della seconda dose, spostata a 3 mesi per permettere al maggior numero di persone di ricevere almeno la prima. Con la circolazione della variante indiana potrebbe essere cambiata strategia anticipando il richiamo, proprio come si sta facendo nel Regno Unito. Al momento non sono stati diffusi i dati di efficacia contro la variante indiana degli altri due vaccini approvati dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ovvero l'Ad26.COV2.S o JNJ-78436735 di Johnson & Johnson (messo a punto dagli scienziati di Janssen Pharmaceutica e Beth Israel Deaconess Medical Center) e l'mRNA-1273 o CX-024414 sviluppato da Moderna Inc e NIAID. Il primo, monodose, è a vettore virale come il Vaxzevria, il secondo è a mRNA come il vaccino di Pfizer. I dettagli dello studio britannico “Effectiveness of COVID-19 vaccines against the B.1.617.2 variant” sono stati pubblicati sul database online MedrXiv e non sono ancora stati sottoposti a revisione paritaria.

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