Quando è nata l’epidemia di coronavirus: lo dice uno studio italiano
Il nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) sarebbe stato presente nel Paese asiatico ben prima di dicembre 2019, da quando hanno iniziato a circolare le prime voci su una “misteriosa malattia polmonare” che stava infettando e mietendo vittime tra i cittadini di Wuhan. Tra le voci c'era anche quella del medico oculista Li Wenliang, il primo che provò ad avvisare amici, parenti e colleghi del pericolo rappresentato dal coronavirus (scambiato inizialmente con la SARS) e che per questa ragione fu messo a tacere dalle autorità, che lo accusarono di fomentare allarmismo. Solo successivamente, quando l'emergenza coronavirus divenne evidente, il medico fu riabilitato dalla magistratura e poté tornare al suo lavoro acclamato come un “eroe”. Purtroppo, com'è ampiamente noto alle cronache internazionali, il giovane – sposato e con un figlio – si è ammalato di COVID-19 (l'infezione causata dal virus) ed è deceduto all'inizio di febbraio.
A determinare che il virus fosse presente in Cina da prima di dicembre (probabilmente da novembre o addirittura da ottobre) è stato un team di ricerca italiano dell'Università degli Studi di Milano, nello specifico del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche “L. Sacco” e del Centro di ricerca coordinato CRC “EpiSoMI”. Gli scienziati coinvolti, Alessia Lai, Annalisa Bergna, Carla Acciarri, Massimo Galli e Gianguglielmo Zehender, hanno condotto le loro ricerche nel laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive del DIBIC dell’Ospedale Sacco di Milano (ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano). Sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un'indagine epidemiologica e molecolare su 52 genomi virali completi del SARS-CoV-2, depositati presso la banca dati genetica GISAID (Global Initiative on Sharing All Influenza Data).
Gli scienziati, coordinati dal professor Gianguglielmo Zehender, hanno utilizzato due modelli matematici/evolutivi distinti grazie ai quali sono riusciti a ricostruire la "storia evolutiva" del virus e a calcolarne l'R0, ovvero il tasso netto di riproduzione di base (basic reproduction number o basic reproductive ratio). Si tratta di un fattore associato ad ogni patologia infettiva e rappresenta il numero medio di persone che un singolo infetto riesce a contagiare in una specifica popolazione, dove la patologia è emergente e dunque non ci sono vaccinazioni disponibili. Dalle analisi è emerso che l'R0 di SARS-CoV-2 fosse più basso del valore 1 a ottobre/novembre; ciò significa che ogni infetto riusciva a contagiare a malapena un'altra persona; questo valore, tuttavia, sarebbe letteralmente schizzato da 0,8 a 2,4 proprio nel mese di dicembre, quando la “misteriosa malattia polmonare” ha iniziato a spaventare il mondo intero. Infine l'R0 sarebbe passato 2,6.
Questi dati suggeriscono che quando il virus fece il salto di specie dall'animale (non ancora identificato) all'uomo aveva una bassa capacità di diffondersi, ma replicazione dopo replicazione avrebbe migliorato la sua capacità di trasmissione facendo “esplodere” l'epidemia, sbarcata anche in Italia con i due focolai epidemici di Lombardia e Veneto. I dettagli della ricerca italiana sono in attesa della pubblicazione sull'autorevole rivista scientifica specializzata Journal of Medical Virology, ma possono essere già consultati online nel database Medrxiv.
“Sbarco” in Italia del coronavirus inevitabile
La virologa di fama internazionale Ilaria Capua ha dichiarato a fanpage che alcuni sono stati troppo ottimisti che l'Italia non sarebbe stata coinvolta dalla diffusione del coronavirus SARS-CoV-2. “Abbiamo creduto che la Cina, con le misure draconiane che ha messo in atto, potesse tenersi tutto il contagio”. Adesso che il virus ha iniziato a diffondersi anche da noi “dobbiamo fare il più grosso sforzo di responsabilità collettiva della nostra Storia” per provare limitarne la diffusione.