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Perché rischiamo una nuova pandemia a causa delle piantagioni per l’olio di palma

Mettendo a confronto i dati sui cambiamenti nelle coperture forestali con quelli della densità delle popolazioni e dello scoppio di focolai epidemici, due scienziati francesi hanno dimostrato che la deforestazione, il rimboschimento scriteriato e le monocolture commerciali (come quelle di palme da olio) favoriscono la diffusione di zoonosi e vettori di patogeni. Il rischio è che da questi ambienti stravolti, responsabili del crollo della biodiversità, possano emergere nuove, catastrofiche pandemie.
A cura di Andrea Centini
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La deforestazione, il rimboschimento non correttamente gestito e le monocolture commerciali – come quelle dedicate alle palme da olio – rappresentano un rischio per lo scoppio di focolai di malattie infettive trasmesse dagli animali (zoonosi). Nel peggiore dei casi possono rappresentare il volano per una nuova pandemia come quella di COVID-19 che stiamo vivendo da oltre un anno. In ogni caso, la ragione è la perdita di biodiversità che deriva dalla cattiva gestione delle aree verdi del pianeta, che favorisce la proliferazione dei vettori di agenti patogeni e la nascita di serbatoi animali, ovvero di specie che “cullano” virus e batteri pronti a compiere il salto di specie all'uomo (spillover).

A determinare che le piantagioni delle palme da olio e la deforestazione possono rappresentare un rischio per la salute globale sono stati i due scienziati francesi Serge Morand e Claire Lajaunie, rispettivamente del CNRS ISEM—CIRAD ASTRE dell'Università di Montpellier e dell'Inserm-Laboratoire Population Environnement Développement dell'Università di Aix-Marseille. I due ricercatori sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le variazioni nella copertura forestale verificatesi in tutto il mondo tra il 1990 e il 2016. Grazie a modelli matematici hanno poi confrontato i dati raccolti con quelli della densità delle popolazioni locali e dei focolai di patologie epidemiche trasmesse da vettori e zoonosi, come sottolineato in un comunicato stampa. Hanno anche analizzato l'impatto del rimboschimento, l'abbandono dei terreni agricoli e gli effetti delle piantagioni commerciali, come le immense monocolture di palme da olio in diversi Paesi asiatici (in passato già associate alla diffusione di malattie da altre indagini e responsabili anche del crollo delle popolazioni di oranghi).

Incrociando tutti i dati, i due ricercatori hanno scoperto che la deforestazione e il rimboschimento scriteriato erano strettamente connessi con l'emersione di focolai epidemici. È risultata una “forte associazione tra deforestazione ed epidemie (come la malaria e l'Ebola) in paesi tropicali come Brasile, Perù, Bolivia, Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Indonesia, Myanmar e Malesia”. Per quanto concerne le aree temperate del pianeta, come gli Stati Uniti, la Cina e l'Europa, sono emersi evidenti “collegamenti tra le attività di imboschimento e le malattie trasmesse da vettori come la malattia di Lyme”. Nei Paesi con vaste piantagioni di palme da olio è stata osservata una forte associazione “con malattie trasmesse dalle zanzare come la dengue, la zika e la febbre gialla”. “Non conosciamo ancora i meccanismi ecologici precisi coinvolti, ma ipotizziamo che le piantagioni, come quelle da palma da olio, si sviluppino a scapito delle aree boschive naturali, e il rimboschimento è principalmente foresta monospecifica a scapito delle praterie”, ha dichiarato il professor Morand, che è anche docente presso le Facoltà di Veterinaria e Medicina Tropicale di due atenei thailandesi. “Entrambi i cambiamenti di uso del suolo sono caratterizzati dalla perdita della biodiversità e questi habitat semplificati favoriscono i serbatoi animali e i vettori di malattie”, ha aggiunto lo scienziato.

Alcuni mesi addietro era stato un rapporto del WWF ad associare la deforestazione con il rischio di nuove pandemie. La distruzione degli habitat naturali riduce lo spazio a disposizione per gli animali selvatici che sono costretti a vivere sempre più ravvicinati, e ciò aumenta le probabilità che i patogeni (come i coronavirus, che sono presenti soprattutto nei pipistrelli) possano passare da una specie e l'altra, evolvendo e sviluppando mutazioni in grado di fargli compiere lo spillover, il passaggio all'uomo. La distruzione delle foreste e l'urbanizzazione avvicina anche l'uomo agli (incolpevoli) animali selvatici, alimentando ulteriormente il rischio di spillover (senza dimenticare il bracconaggio e i famigerati mercati umidi, che catalizzano ulteriori rischi). Gli habitat rivoluzionati per le monocolture appiattiscono la biodiversità e vengono agevolati i vettori portatori di malattie, che in combinazione con i cambiamenti climatici si disperdono in aree sempre più ampie e catalizzano lo scoppio di focolai epidemici, come evidenziato dallo studio francese.

I due autori della ricerca si augurano che i risultati ottenuti possano contribuire a migliorare le pratiche di gestione forestale e a spingere i Paesi a non stravolgere ulteriormente gli ambienti naturali per interessi economici. Se ci troviamo in questa situazione catastrofica, del resto, è proprio del continuo e scriteriato sfruttamento del patrimonio naturale. I dettagli della ricerca “Outbreaks of Vector-Borne and Zoonotic Diseases Are Associated With Changes in Forest Cover and Oil Palm Expansion at Global Scale” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Frontiers in Veterinary Science.

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