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Perché non vacciniamo cani e gatti contro la Covid (anche se si contagiano anche loro)

Anche se diversi gruppi di ricerca hanno già sviluppato vaccini per uso animale, la vaccinazione di cani e gatti non è ritenuta una priorità.
A cura di Valeria Aiello
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Fin dai primi mesi della pandemia di Covid è emerso che oltre l’uomo, il coronavirus Sars-Cov-2 può infettare anche altre specie animali. Alcune, più di altre, sono più suscettibili all’infezione, come dimostrato da diversi studi scientifici che hanno indicato almeno 400 specie di vertebrati che possono essere contagiate. Tra le specie più a rischio figurano i grandi primati non umani, come i gorilla, gli scimpanzé, i gibboni e gli oranghi, mentre nella fascia a rischio medio sono presenti i felini, inclusi i gatti. I cani, invece, sono tra le specie a basso rischio, come anche i cavalli e gli elefanti. Ma mentre alcuni di questi animali, in particolare i grandi felini che vivono negli zoo, stanno già ricevendo vaccini anti Covid specificatamente progettati, cani e gatti domestici non vengono vaccinati. Perché?

Secondo gli esperti, vaccinare gli animali domestici non è una priorità. Attualmente, non esiste infatti alcuna evidenza scientifica di un loro possibile ruolo epidemiologico nella diffusione di Sars-Cov-2 e un crescente numero di prove suggerisce che siano gli umani a trasmettere il virus agli animali, sia allevati sia domestici, e non viceversa. Discorso a parte per i visoni, nei quali è stata dimostrata la trasmissione da parte dell’uomo ma anche la loro capacità di ritrasmettere il virus alle persone.

Ad ogni modo, anche se cani e gatti possono contrarre il virus in seguito al contatto con persone infette, ad oggi “non ci sono stati casi documentati di cani o gatti che abbiano diffuso il virus alle persone” precisa la dottoressa Elizabeth Lennon, veterinaria dell’Università della Pennsylvania. “Se avremo un vaccino per cani e gatti? Credo sia abbastanza improbabile, la diffusione del virus e il rischio di malattia negli animali domestici sono così bassi che non varrebbe la pena somministrare alcun vaccino” ha aggiunto il dottor Will Sander, veterinario dell’Università dell’Illinois Urbana-Campaign, in un articolo pubblicato sul New York Times.

Non sembra che cani o gatti possano mai essere un serbatoio per questo virus – ha indicato la dottoressa Jeanette O’Quin, veterinaria della Ohio State University – . Crediamo che se non ci fossero persone malate intorno a loro, non sarebbero in grado di continuare a diffonderlo da un animale all’altro, per cui il virus non continuerebbe a esistere nella loro popolazione”.

Nell’insieme, questi fattori hanno convinto gli esperti che un vaccino per gli animali domestici non sia necessario. Nel novembre 2020, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), che regola i medicinali ad uso veterinario, ha dichiarato che non accetterà alcuna domanda di approvazione per vaccini per cani e gatti “perché i dati non indicano che un tale vaccino avrebbe importanza”.

Oltre alla mancanza di prove che cani e gatti possano diffondere il virus all’uomo, questi animali tendono ad avere sintomi lievi, che possono includere letargia, tosse, starnuti, secrezioni nasali o diarrea, e in genere si riprendono completamente senza alcun trattamento, anche se occasionalmente si sono verificati alcuni casi più gravi. Inoltre, ci sono poche indicazioni di una trasmissione efficace interspecie nei cani e nei gatti, come mostrato dalle minori probabilità che i gatti randagi, ad esempio, abbiano anticorpi diretti contro il virus rispetto ai gatti che vivono in casa con le persone. Una differenza che suggerisce la trasmissione del virus da parte dell’uomo come principale fonte di infezione.

Tuttavia non è ancora chiaro con quale frequenza gli esseri umani infetti trasmettano il virus agli animali domestici così come non sono ancora stati completamente identificati gli effetti dell’infezione sulla salute degli animali domestici. In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Veterinary Record, i ricercatori hanno sollevato la possibilità che la variante Alfa, identificata per la prima volta nel Regno Unito, possa causare un’infiammazione cardiaca (miocardite) nei cani e nei gatti. Le prove sono ancora circostanziali, ma il virus è stato collegato allo stesso problema nelle infezioni umane, per cui secondo gli esperti è necessario esplorare più approfonditamente questa connessione. “Servono ulteriori ricerche in questo settore per scoprire se si tratta di una vera associazione” ha aggiunto O’Quin, indicando che come per i pazienti Covid, anche negli animali domestici la malattia potrebbe non avere una stessa manifestazione.

D’altra parte, la ricerca futura o l’emergere di diverse varianti virali potrebbero portare a nuove considerazioni circa la possibilità di un vaccino per gli animali domestici. Se ad esempio, il virus diventasse più diffuso, virulento o trasmissibile nei cani o nei gatti, la vaccinazione potrebbe essere riconsiderata, come indicato dalla stessa USDA che ha affermato che potrebbe rivalutare la sua posizione qualora emergessero “più prove di trasmissione e malattia clinica” in determinate specie.

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