Perché non bisogna lasciar circolare la variante Omicron anche se fosse lieve
Una ricerca appena pubblicata condotta da scienziati di nference Lab ha rilevato che la variante Omicron (B.1.1.529) del coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe aver acquisito una parte di materiale genetico proveniente da un comune virus del raffreddore, attraverso il processo della ricombinazione. Questo evento si sarebbe verificato in un paziente immunodepresso contagiato contemporaneamente dai due patogeni, che come evidenziato da precedenti indagini sono in grado di coinfettare le nostre cellule respiratorie e gastrointestinali. L'acquisizione di questo “pezzo” di virus del raffreddore, nello specifico una sequenza nucleotidica che codifica per la mutazione di inserzione chiamata “ins214EPE”, potrebbe spiegare la ragione per cui la variante Omicron – al momento – sembra provocare solo sintomi lievi. Non a caso alcuni scienziati, come il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive presso il Policlinico San Martino di Genova, suggeriscono che ciò che è stato rilevato nella variante Omicron potrebbe essere un segnale di indebolimento del virus. Sui social network il significato dello studio è stato tuttavia distorto e strumentalizzato, con alcuni che hanno sottolineato che la COVID-19 “è sempre stata un raffreddore” – alimentando la narrativa novax e negazionista – e altri che si sono lanciati in proposte un po' troppo azzardate, come quella di lasciar circolare liberamente la variante Omicron se davvero dovesse determinare una malattia più lieve.
A spiegare perché questo sarebbe un errore è il professor Enrico Bucci, biologo, docente di Biochimica e Biologia Molecolare presso la prestigiosa Temple University di Philadelphia. Lo scienziato, in un post su Facebook, ha sottolineato che “se una variante è più infettiva di un'altra, e la lasciamo circolare liberamente, non importa quanto sia più benigna clinicamente: dopo un periodo iniziale, le ospedalizzazioni (e i morti) procurati dalla nuova variante supereranno largamente quelli della variante meno trasmissibile e più patogenica”. In parole semplici, anche se in genere dovesse determinare sintomi più lievi, a causa della notevolissima trasmissibilità – stimata fino al 500 percento superiore rispetto al virus originale di Wuhan –, se non la contrastiamo ci porterebbe verso una drammatica pressione sui sistemi sanitari, l'elemento centrale alla base delle chiusure, delle restrizioni e dei famigerati lockdown. Ma com'è possibile un tale disastro se la variante Omicron fosse meno davvero meno aggressiva? Tutto dipende dalla “legge dei grandi numeri”.
Il professor Bucci lo ha spiegato con un chiaro ed elegante grafico, in cui ha messo a confronto una ipotetica nuova variante definita “milder” (meno aggressiva) con una già circolante e più pericolosa. Nell'esempio postato dallo scienziato, la nuova variante “ha un tasso di infezione doppio e un tasso di ospedalizzazione pari a un millesimo di quella originaria”. Entrambe le curve partono da un singolo soggetto infetto. Il risultato, come si evidenzia dal grafico, è drammatico per la variante più trasmissibile ma meno “cattiva”, a causa dell'enorme numero di persone in più che riesce a contagiare. “Significa che, sebbene ogni singolo individuo rischi 1000 volte di meno di finire in ospedale, per le proprietà degli esponenziali ben presto avremo in ospedale un numero di individui molto più elevato con la variante "deboluccia" ma più infettiva; dunque avremo di nuovo un grande problema di sanità pubblica”, ha spiegato il professor Bucci. “Ecco perché, in attesa di capire sulla base dei dati, è bene che si capisca che lasciare liberamente circolare una variante molto infettiva non sarebbe comunque una buona idea”, ha aggiunto l'esperto.
Al momento, infatti, la casistica delle persone infettate dalla variante Omicron è ancora troppo bassa per sapere effettivamente se e quanto sia effettivamente più lieve della variante Delta, quella che attualmente sta guidando la quarta ondata dei contagi. Come sottolineato dal professor Bucci, “per avere un profilo più benigno, bisogna che i sintomi cambino – cioè che chi si ammala presenti sintomi lievi. Non è sufficiente che diminuisca la probabilità di avere sintomi gravi”. In pratica, i sintomi lievi dovrebbero essere per tutti e non solo per una parte (per quanto ridotta) delle persone contagiate. “Il problema è l'ambiguità del termine "mild": se intendiamo che semplicemente la probabilità di avere sintomi seri è più bassa, non c'è affatto da stare allegri se la variante è più diffusiva. Se, invece, intendiamo per "mild" che non la probabilità, ma il tipo di sintomi cambia e diventa meno severo, allora le cose si metteranno bene”, ha chiosato l'esperto. “Dunque – conclude il professor Bucci – ciò che conta davvero è capire se questa nuova variante è capace o meno di provocare casi severi e morti; e per questo, al solito, dobbiamo aspettare un po' di tempo, particolarmente se la loro probabilità è minore”.
Fin quando non avremo la certezza che la variante Omicron determini effettivamente sintomi lievi in tutta la popolazione contagiata, sarà dunque fondamentale continuare a seguire le raccomandazioni degli esperti: vaccinarsi, indossare le mascherine laddove richiesto, praticare il distanziamento sociale e curare l'igiene delle mani, con acqua e sapone o un gel idroalcolico. A maggior ragione se si considera che la variante Omicron sembra avere una significativa capacità di eludere le difese immunitarie: al momento vi sono dati solo relativamente ai guariti (i dati in Sudafrica indicano un tasso di reinfezione di 2,4 volte superiore rispetto a Beta e Delta); entro pochi giorni arriveranno anche i risultati sui test di neutralizzazione condotti sui campioni di sangue dei vaccinati con 2 e 3 dosi, che indicheranno se la fuga immunitaria si determini anche in chi ha ricevuto il vaccino. Nel caso venisse confermata, le principali case farmaceutiche sono già al lavoro per un aggiornamento del vaccino, che tuttavia anche allo stato attuale resterebbe comunque protettivo verso la forma grave della COVID-19, come ipotizzato dall'amministratore delegato di BioNTech Ugur Sahin.