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Covid 19

Perché non basta essere semplicemente esposti al coronavirus per sviluppare l’infezione

Essere esposti al coronavirus SARS-CoV-2 non significa automaticamente sviluppare la COVID-19, l’infezione causata dal patogeno. La ragione risiede infatti nella concentrazione virale in grado di superare la barriera del sistema immunitario e dar via alla replicazione, che per il nuovo coronavirus sembra essere di centinaia di particelle. Ma non ci sono ancora certezze.
A cura di Andrea Centini
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Il nuovo coronavirus visto al microscopio elettronico in falsi colori. Credit: NIAID-RML
Il nuovo coronavirus visto al microscopio elettronico in falsi colori. Credit: NIAID-RML
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Per carica virale si intende fondamentalmente la misura del numero di particelle virali circolanti in un soggetto positivo a una determinata malattia, ma la terminologia viene associata anche al quantitativo di virus cui si viene esposti, e alla possibilità che esso inneschi l'infezione. Come sottolineano gli esperti, infatti, una singola particella virale – o comunque un numero molto contenuto – non è sufficiente a provocare una malattia, dato che verrebbe immediatamente riconosciuta e distrutta dal sistema immunitario, impedendo di fatto l'avvio della replicazione e dunque la proliferazione nell'organismo. Quando tuttavia la concentrazione di virus cui si viene esposti è significativa, c'è un limite superato il quale si sviluppa l'infezione. Ciò è vero anche per il coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della COVID-19. Ma qual è la concentrazione del patogeno necessaria e sufficiente affinché si inneschi la malattia?

Come specificato al New York Times dal professor Eugene Chudnovsky, docente di Fisica presso l'autorevole Università di New York, “un singolo virus non farà ammalare nessuno; sarà immediatamente annientato dal sistema immunitario. La convinzione è che per superare la risposta immunitaria siano necessarie da poche centinaia a qualche migliaio di virus SARS-CoV-2”. Questa convinzione deriva dal fatto che pur non essendoci ancora studi specifici per il nuovo coronavirus, gli scienziati sanno che per la SARS (Severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria acuta grave) sono necessarie centinaia di particelle virali, mentre per la MERS (Middle East Respiratory Syndrome, sindrome respiratoria mediorientale) ne servono migliaia. SARS-CoV, MERS-CoV e SARS-CoV-2 sono tre betacoronavirus con un'ampia porzione del profilo genetico in comune. Poiché come dimostrato da scienziati dell'Università di Fudan (Shanghai), dell'Istituto Marie Bashir per le malattie infettive e la biosicurezza dell'Università di Sydney (Australia) e dell'Istituto di Virologia di Wuhan il nuovo coronavirus è più somigliante a quello della SARS, condividendo ben l'80 percento dei geni, gli scienziati ritengono che anche per innescare la COVID-19 sono necessarie centinaia di particelle virali.

Ma la realtà non è così semplice. “La verità è che proprio non lo sappiamo. Non credo che possiamo fare qualcosa di meglio di un'ipotesi ragionata”, ha sottolineato sempre al New York Times la virologa dell'Università Columbia di New York Angela Rasmussen. Il virus infatti si comporta in modo peculiare sotto diversi aspetti, dunque anche sulla carica virale ci sono dei dubbi. Ad esempio, le persone con influenza, HIV e SARS con cariche virali significative sperimentano sintomi molto più gravi di quelle con carica virale bassa. Per il nuovo coronavirus, invece, sono stati trovati pazienti con altissime concentrazioni di virus ma con sintomi lievi, talvolta praticamente asintomatiche. Inoltre, la maggior diffusione del virus attraverso droplet e aerosol sembra verificarsi durante la fase asintomatica, 2/3 giorni prima della comparsa dei sintomi della malattia. Secondo un team di ricerca dell'Università della California di San Diego e dell'Aerosol Science Research Center presso la National Sun Yat-sen University di Kaohsiung, Taiwan, basta un minuto di conversazione ad alta voce per generare aerosol contenenti dai mille ai centomila virioni del SARS-CoV-2, sufficienti a innescare l'infezione se inalati.

Come spiegano i ricercatori, oltre alla trasmissione per inalazione ci può essere anche quella per contatto con le superfici contaminate, portando poi le mani su bocca, naso e occhi. Per innescare l'infezione tramite ingestione, inoltre, potrebbe essere necessaria una carica virale differente. Sono ancora in corso indagini in tal senso, anche se non è considerata la via di trasmissione privilegiata dal SARS-CoV-2. Tra le caratteristiche valutate dagli scienziati, oltre che le dimensioni delle goccioline contenenti il virus, vi sono anche l'ampiezza delle narici e la peluria nel naso, che potrebbero far inalare concentrazioni maggiori o minori di virus. Al momento, dunque, non ci sono certezze su quale sia l'effettiva concentrazione di coronavirus sufficiente a innescare l'infezione.

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