Perché le tante mutazioni della variante Omicron non indicano per forza un virus più pericoloso
La nuova variante Omicron (B.1.1.529) del coronavirus SARS-CoV-2 scoperta in Sudafrica ha un numero impressionante di mutazioni – ben 32 – sulla proteina S o Spike, il “grimaldello biologico” sfruttato dal patogeno per legarsi alle cellule umane, invaderle e avviare i processi che determinano la malattia (COVID-19). Questa significativa differenza rispetto al ceppo originale del virus preoccupa gli esperti poiché potrebbe renderlo più trasmissibile (probabilmente fino al 500%, secondo una stima iniziale), aggressivo e soprattutto in grado di eludere le difese immunitarie, sia quelle indotte dal vaccino che quelle dovute a precedenti infezioni naturali. Non a caso è stata elencata tra le varianti di preoccupazione dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), assieme all'Alpha, alla Beta, alla Gamma e alla Delta, l'attuale “motore” della quarta ondata.
Al momento, tuttavia, come specificato dall'OMS stessa non è ancora chiaro quale possa essere l'effettiva pericolosità della nuova variante, pertanto sarà necessario attendere i risultati di studi approfonditi. Il grande numero di mutazioni, inoltre, secondo alcuni esperti potrebbe essere persino controproducente. Basti pensare a cosa è successo alla famigerata variante Delta in Giappone; secondo gli studiosi dell'Istituto Nazionale di Genetica nipponico e dell'Università di Niigata potrebbe essersi “autoestinta” proprio a causa dell'accumulo di mutazioni su una proteina specifica, la nsp14, deputata a correggere gli errori che si determinano naturalmente durante replicazione virale. La variante Omicron si caratterizza per una cinquantina di mutazioni complessive, delle quali 26 non sono mai state viste prima in altre varianti del SARS-CoV-2. Sebbene alcune di esse prese singolarmente hanno dimostrato di rendere il virus più trasmissibile ed elusivo, le mutazioni lavorano in sinergia, dunque non è detto che a un gran numero di mutazioni corrisponda per forza un nemico peggiore.
Come sottolineato al New York Times dal professor Jesse Bloom, biologo evoluzionista presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, “in linea di principio, le mutazioni possono anche funzionare l'una contro l'altra”, tuttavia, a causa di un fenomeno chiamato epistasi, “in questo caso è più probabile che la selezione evolutiva porti alla diffusione di una nuova variante con combinazioni di mutazioni favorevoli che sfavorevoli”, ha aggiunto l'esperto. Ma bisogna conoscere a fondo il nuovo nemico, prima di speculare sui suoi attributi. “È importante avere un'idea del virus completo”, ha chiosato la professoressa Penny Moore, virologa presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Trasmissibili del Sudafrica. La scienziata intervistata dal NYT ha fatto l'esempio della variante Beta, anch'essa scoperta nel Paese africano, nella quale si trova la mutazione E484K; gli studi avevano evidenziato che questa specifica mutazione avrebbe reso il virus più elusivo nei confronti dei vaccini, ma ulteriori indagini hanno rilevato che la Beta aveva altre due mutazioni in grado di favorire il patogeno. Un virus con queste tre mutazioni risultava molto più elusivo di quello con la singola E484K, dunque la sua presenza non indica automaticamente una pericolosità maggiore.
La nuova variante è portatrice di una mutazione chiamata N501Y che nella variante Alpha era stata associata a una maggiore contagiosità; questa mutazione non è presente nella Delta, eppure quest'ultima si è dimostrata decisamente più contagiosa della prima, ovvero del 70 percento contro il 30 percento rispetto al virus originale del SARS-CoV-2. “Questo perché Delta aveva altre mutazioni che migliorano la trasmissibilità”, ha affermato la professoressa Moore. La variante Omicron presenta una serie di mutazioni che suggeriscono una capacità migliore del patogeno di legarsi alle cellule umane, ma se nel loro insieme renderanno il virus più instabile, allora non è detto che debba essere per forza un nemico più subdolo e pericoloso. “Agendo insieme, potrebbero avere un effetto leggermente diverso”, ha concluso il dottor Bloom. In questo momento gli scienziati stanno creando dei surrogati di variante Omicron in laboratorio per comprendere come rispondono ai vaccini. I risultati di questi e altri studi determineranno se sarà necessario o meno aggiornare i farmaci impiegati nella campagna vaccinale.