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Covid 19

Perché la pillola anti Covid potrebbe essere rischiosa per le donne incinte

Il meccanismo d’azione della pillola anti Covid di Merck, il Molnupiravir, secondo alcuni studiosi potrebbe comportare rischi per lo sviluppo del feto.
A cura di Andrea Centini
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La pillola anti Covid molnupiravir. Credit: Merck
La pillola anti Covid molnupiravir. Credit: Merck
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La pillola anti Covid di Merck, il Molnupiravir, secondo alcuni studiosi potrebbe rappresentare un rischio per le donne in gravidanza, a causa della potenziale capacità del farmaco di indurre mutazioni nel DNA umano. Non a caso i comitati della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l'agenzia federale deputata alla regolamentazione di farmaci, alimenti e terapie sperimentali, stanno ancora valutando la richiesta di autorizzazione all'uso di emergenza depositata settimane addietro dal colosso farmaceutico. Ma da cosa dipenderebbe questo potenziale rischio del Molnupiravir?

Tutto è legato al suo principio di azione. In parole semplici, il farmaco è progettato per inibire l'enzima sfruttato dal coronavirus SARS-CoV-2 (il patogeno responsabile della COVID-19) per replicarsi all'interno delle cellule umane, ovvero l’RNA polimerasi virale. Il Molnupiravir induce errori di copiatura durante il processo di replicazione, fino a quando il virus risulta talmente mutato da non essere più in grado di riprodursi. Ciò, di fatto, neutralizza il patogeno e permette al paziente di liberarsi rapidamente dell'infezione. La terapia basata sulla pillola anti Covid è di breve durata e deve essere somministrata durante i primi giorni dopo la comparsa dei sintomi, proprio per impedire al virus di replicarsi a sufficienza, aumentare la carica virale e diffondersi nell'organismo, scongiurando così la COVID-19 severa. Una recente indagine ha dimostrato che il Molnupiravir riduce del 30 percento il rischio di ricovero e decesso per COVID-19 e non del 50 percento come emerso da una precedente sperimentazione. Al di là dell'efficacia del farmaco, come indicato, il meccanismo d'azione che induce mutazioni nel genoma virale secondo alcuni esperti potrebbe coinvolgere anche il DNA umano; poiché colpisce le cellule in divisione, inoltre, il problema potrebbe essere particolarmente significativo nelle donne in gravidanza, qualora venisse confermato. Anche Merck non ha coinvolto le donne incinte e in allattamento nella sperimentazione della pillola.

“Vogliamo ridurre il rischio (di Covid grave NDR) per la madre del 30 percento esponendo l'embrione e il feto a un rischio molto più elevato di danni da questo farmaco?”, ha sottolineato al New York Times il dottor James Hildreth, presidente del Meharry Medical College in Tennessee. “La mia risposta è no, e non c'è nessuna circostanza in cui consiglierei a una donna incinta di assumere questo farmaco”, ha chiosato lo scienziato. “Lo sviluppo umano nell'utero è una sequenza di eventi assolutamente sbalorditiva”, ha dichiarato il dottor John Mellors, infettivologo presso l'Università di Pittsburgh. “Cominci ad armeggiare con questo in qualsiasi modo e puoi finire con un disastro”, ha aggiunto. “Se fossi incinta, non lo prenderei”, ha invece affermato al NYT  la professoressa Elizabeth Campbell della Rockefeller University. “Probabilmente arriverei al punto di dire che non la darei a un bambino, a un adolescente, a chiunque le cui cellule si dividano e si differenziano ancora a tassi più elevati”, ha aggiunto la specialista.

Nello studio “β-D-N4-hydroxycytidine Inhibits SARS-CoV-2 Through Lethal Mutagenesis But Is Also Mutagenic To Mammalian Cells” pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Journal of Infection Disease, un team di ricerca del Lineberger Comprehensive Cancer Center dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill ha dimostrato che il farmaco ha indotto mutazioni nel DNA di cellule di criceto esposte per 32 giorni. Secondo gli autori della ricerca, guidati dal professor Ronald Swanstrom, queste mutazioni potrebbero “contribuire allo sviluppo del cancro o causare difetti alla nascita in un feto in via di sviluppo o attraverso l'incorporazione in cellule precursori dello sperma”. Sebbene il Molnupiravir punti a colpire le sole cellule in divisione, rappresentando un rischio ridotto rispetto ad altri mutageni come le radiazioni che sono in grado di danneggiare il DNA di qualunque cellula, i ricercatori evidenziano che nei criceti adulti c'erano abbastanza cellule in questo stato (come nelle ossa o nel rivestimento dell'intestino) da destare alcune preoccupazioni.

Gli scienziati della Merck hanno risposto ai risultati di questa ricerca specificando che le cellule di criceto sono state esposte al farmaco per un periodo molto più lungo di quello previsto dalla terapia, inoltre i loro test sui roditori non hanno evidenziato alcun segnale di mutagenicità. “Osserviamo che questa molecola ha un rischio molto basso di mutagenicità”, aveva dichiarato il dott. Roy Baynes, un dirigente della casa farmaceutica. “Questo farmaco viene utilizzato per cinque giorni e l'obiettivo è eradicare rapidamente il virus, e questo non è un trattamento a lungo termine”, aveva ribadito l'esperto. Va inoltre tenuto presente che test in vitro con cellule di roditore sono tutto fuorché rappresentative di ciò che può avvenire nell'organismo umano. Tuttavia gli studiosi stanno chiedendo a Merck di pubblicare i risultati delle sue ricerche sui roditori, proprio per comprendere meglio le potenzialità mutageniche del farmaco. Non resta che attendere l'eventuale via libera da parte delle autorità sanitarie (in primis l'FDA statunitense) per conoscere eventuali limiti che saranno imposti nell'utilizzo della pillola anti Covid.

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