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Covid 19

Come funzionano le nuove pillole anti Covid di Merck e Pfizer

I due farmaci antivirali molnupiravir e paxlovid hanno dimostrato di poter ridurre drasticamente i ricoveri e decessi per Covid quando assunti entro pochi giorni dalla comparsa dei primi sintomi di infezione.
A cura di Valeria Aiello
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Due nuovi farmaci antivirali, entrambi somministrati per via orale, hanno dimostrato di poter ridurre drasticamente i ricoveri e decessi per Covid-19 quando assunti entro pochi giorni dalla comparsa dei primi sintomi di infezione. Sono il molnupiravir, sviluppato dalla multinazionale americana Merck in collaborazione con la Ridgeback Biotherapeutics, e il paxlovid, messo a punto nei laboratori farmaceutici della newyorkese Pfizer. Il primo è stato già approvato nel Regno Unito, a poco più di un mese dall’analisi preliminare dei dati dello studio clinico di fase 3, che ha indicato che il farmaco (che in Gran Bretagna sarà marchiato Lagevrio) ha dimezzato il rischio di ospedalizzazione e di morte negli adulti con forme lievi o moderate di Covid. All’indomani dell’approvazione britannica, Pfizer ha annunciato che, sulla base dell’analisi ad interim della sperimentazione clinica di fase 2/3, il paxlovid ha dato prova di ridurre dell’89% i ricoveri e decessi nei pazienti adulti ad alto rischio di sviluppare malattia grave.

In entrambi i casi, il reclutamento di volontari negli studi clinici è stato sospeso per manifesta superiorità del farmaco rispetto al placebo, sebbene si tratti di risultati non ancora pubblicati su riviste scientifiche peer reviewed. Ma cosa sono davvero il molnupiravir e il paxlovid e in cosa sono diversi tra loro e rispetto agli altri antivirali che abbiamo a disposizione, come remdesivir?

Le due pillole anti Covid molnupiravir e paxlovid

Rispetto al remdesivir, che si utilizza per via endovenosa in pazienti già ospedalizzati, sia il molnupiravir sia paxlovid si assumono per via orale quando la malattia è ancora allo stadio iniziale, ovvero entro pochi giorni dalla comparsa dei primi sintomi di infezione. Questa diversa collocazione in terapia può quindi rappresentare una svolta nel trattamento di Covid-19, in quanto questi due nuovi farmaci possono essere assunti direttamente a casa quando la malattia è ancora allo stadio iniziale. “Per gran parte del mondo che non ha una buona copertura vaccinale, questa è davvero una manna dal cielo” ha affermato in un’intervista a Nature il dottor Charles Gore, direttore esecutivo del Medicines Patent Pool, un’organizzazione sostenuta dalle Nazioni Unite con sede a Ginevra, in Svizzera, che lavora per aumentare l’accesso ai farmaci per i Paesi a basso e medio reddito.

Le due molecole, ad ogni modo, funzionano in maniera completamente diversa. Il molnupinavir, in particolare, appartiene alla categoria degli analoghi ribonucleosidici, ovvero molecole in grado di inibire la replicazione virale introducendo mutazioni nel genoma virale. “Un metabolita del farmaco – chiarisce Natureviene utilizzato da un enzima virale chiamato RNA polimerasi RNA-dipendente e incorporato nel genoma virale, causando così tanti errori che il virus non può più sopravvivere”.

Il paxlovid appartiene invece alla classe degli inibitori delle proteasi, progettato per bloccare l’attività della proteasi 3CL di Sars-Cov-2, un enzima di cui il coronavirus ha bisogno per replicarsi. Nello specifico, il paxlovid inibisce la replicazione virale in una fase nota come proteolisi, che si verifica prima della replicazione dell’RNA virale.

Gli obiettivi di molnupiravir e paxlovid sono dunque diversi come differenti possono essere i potenziali effetti collaterali del trattamento e le caratteristiche che potrebbero limitare l’assunzione da parte di alcuni pazienti. Secondo gli studiosi, sebbene le cellule umane abbiano un genoma a DNA e non a RNA come Sars-Cov-2, il molnupiravir potrebbe causare mutazioni anche nel DNA umano, limitando ad esempio il trattamento nelle donne in gravidanza. “Probabilmente ci saranno avvertimenti sull’uso di questo antivirale a causa del potenziale rischio” ha indicato Jerome Kim, direttore generale dell'International Vaccine Institute di Seoul.

Quanto invece al paxlovid, i dubbi degli studiosi sono relativi a un altro componente del trattamento, chiamato ritonavir, un farmaco che aiuta a prevenire che gli enzimi epatici distruggano l’antivirale prima che abbia la possibilità di bloccare la replicazione del virus. Impiegato anche nel trattamento dell’HIV, il ritonavir può infatti influenzare il modo in cui altri farmaci vengono metabolizzati dall’organismo, per cui una vasta gamma di medicinali non dovrebbe essere somministrata in concomitanza al trattamento, compresi alcuni che sono comunemente impiegati contro condizioni cardiache, per sopprimere il sistema immunitario oppure ridurre il dolore.

Ciò significa che molte persone potrebbero non essere in grado di tollerare la combinazione di paxlovid e ritonavir” ha chiarito John Mellors, specialista in malattie infettive presso l’Università di Pittsburgh Medical Center in Pennsylvania. Ad ogni modo, come il trattamento con molnupiravir, anche il regime farmacologico con paxlovid dura pochi giorni, per cui i medici potrebbero trovare il modo per aggirare alcune interazioni farmacologiche. “Ci sarà una curva di apprendimento su quando può essere usato e quando no”.

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