Perché la pillola anti Covid potrebbe aumentare il rischio di varianti
La pillola anti Covid di Merck, il molnupiravir, secondo uno scienziato può alimentare il rischio che si generino nuove varianti potenzialmente pericolose del coronavirus SARS-CoV-2. È proprio ciò che vorremmo evitare, alla luce del significativo impatto delle varianti di preoccupazione (VOC) nella pandemia di COVID-19, come la Delta o ex seconda indiana – che sta guidando l'attuale ondata di contagi – e la Alpha o ex inglese, che ha dominato nel passato inverno. A sottolineare che il molnupiravir possa innescare questo rischio è il dottor William Haseltine, virologo che in passato ha lavorato presso la prestigiosa Università di Harvard, conosciuto a livello internazionale per i suoi lavori sul virus dell'HIV (quello responsabile dell'AIDS) e sul genoma umano. Lo scienziato ha espresso le sue preoccupazioni in un lungo articolo pubblicato su Forbes, per il quale collabora.
Ma perché la pillola anti Covid rischierebbe di generare nuove varianti del patogeno pandemico? Secondo l'esperto la ragione risiede nel meccanismo d'azione del molnupiravir, un antivirale orale che in base al recente studio di Fase 3 “MOVe-Out” ha dimostrato di abbattere del 50 percento circa il rischio di ricovero in ospedale e morte nei pazienti colpiti dalla forma lieve o moderata dell'infezione scatenata dal patogeno pandemico, dimostrandosi così ampiamente efficace. Il farmaco è tecnicamente un inibitore dell’RNA polimerasi virale, l’enzima che consente al coronavirus SARS-CoV-2 di replicarsi nelle cellule del nostro organismo. In pratica la pillola di Merck induce modifiche nell'RNA virale, che a loro volta determinano errori di copiatura nel processo di replicazione del virus; tali mutazioni risultano critiche per il patogeno, che smette di replicarsi e viene così neutralizzato. Questa è la dinamica che consente al farmaco di proteggere dalla COVID-19, ma che secondo il dottor Haseltine può rappresentare un'arma a doppio taglio, dato che le suddette mutazioni potrebbero dar vita a varianti potenzialmente più trasmissibili e aggressive.
“Stai mettendo in circolazione un farmaco che è un potente mutageno in un momento in cui siamo profondamente preoccupati per le nuove varianti”, ha affermato Haseltine nel suo articolo su Forbes. “Non riesco a immaginare di fare qualcosa di più pericoloso”, ha aggiunto l'esperto. La sua preoccupazione deriva dal fatto che molte persone che prendono antibiotici e altri farmaci non concludono il ciclo prescritto dal medico; ciò potrebbe accadere anche in chi prende il molnupiravir, lasciando nell'organismo versioni mutate del patogeno pandemico senza eliminarle del tutto, col rischio che evolvano ulteriormente. “Se stessi cercando di creare un virus nuovo e più pericoloso negli esseri umani, darei una dose subclinica (del farmaco NDR) alle persone infette”, ha dichiarato Haseltine. Le sue preoccupazioni derivano anche dai risultati dello studio “Small Molecule Antiviral β-d-N4-Hydroxycytidine Inhibits a Proofreading-Intact Coronavirus with a High Genetic Barrier to Resistance” condotto da scienziati dell'Università Vanderbilt, nel quale due coronavirus trattati con dosi subletali di un farmaco hanno sviluppato mutazioni senza essere eliminati. Gli scienziati volevano osservare l'emersione di varianti resistenti ai farmaci (da notare che le 162 mutazioni rilevate sono state osservate in popolazioni di cellule infettate e non nei singoli virus).
Lo scenario tratteggiato da Haseltine può apparire davvero spaventoso, ma quanto è concreto il rischio che possa realizzarsi? Poco, secondo altri esperti contattati dall'autorevole rivista scientifica Science. Anche se l'eventuale emersione di nuove varianti non si può escludere a priori, come affermato dal professor Raymond Schinazi, esperto di malattie infettive dell'Università Emory di Atlanta, nessun esperto contattato dalla rivista esprime la medesima preoccupazione di Haseltine. “Non condivido l'allarme. Se costringi un organismo a mutare di più, è più probabile che sia dannoso per il virus”, ha chiosato il professor Aris Katzourakis, esperto di evoluzione virale presso l'Università di Oxford. Lo stesso autore dello studio dell'Università Vanderbilt, il virologo Mark Denison, sottolinea che se il virus cerca di adattarsi, ad esempio attraverso la resistenza, “sviluppa continuamente mutazioni deleterie”. In pratica, sviluppa mutazioni dannose per se stesso. Dalle indagini condotte dalla Merck, come evidenziato dal dottor Daria Hazuda, responsabile della sezione malattie infettive del colosso farmaceutico, non sono stati osservati virus con mutazioni nuove e pericolose in tutti i pazienti trattati con la pillola anti Covid durante i trial clinici. In tutti coloro che completano il ciclo di cinque giorni di molnupiravir non viene rilevato alcun virus infettivo, tanto meno simili varianti pericolose, spiega Hazuda. L'esperto e i colleghi aggiungono inoltre che il coronavirus SARS-CoV-2 muta già moltissimo di suo in modo naturale.
Un rischio potenziale di un farmaco mutageno come la pillola anti Covid è che il patogeno pandemico possa sviluppare resistenza, un processo che si verifica anche con altri medicinali antivirali/antibiotici, per questo gli esperti indicano che il molnupiravir potrebbe essere utilizzato in combinazione con altri farmaci analoghi. Un validissimo candidato potrebbe essere la pillola anti Covid di Pfizer, il Paxlovid, che ha dimostrato di abbattere dell'89 percento il rischio di ospedalizzazione e morte nei pazienti trattati. Monitorare la situazione dopo l'immissione in commercio di questi farmaci – il molnupiravir è stato approvato per l'uso di emergenza il 4 novembre nel Regno Unito – è importante e doveroso, spiegano gli esperti, ma come specificato dal dottor Katzourakis a Science “non credo che siamo nella posizione di bloccare un farmaco salvavita per un rischio che può o non può verificarsi”. Questi farmaci orali, in combinazione con i vaccini anti Covid, sono infatti considerati le armi più preziose che abbiamo per uscire definitivamente dalla pandemia di COVID-19. Va inoltre tenuto presente che le pillole anti Covid sono una cura e non farmaci preventivi come i vaccini, che limitando la circolazione del virus abbattono in modo diretto anche l'emersione di nuove varianti. L'approvazione dei primi farmaci anti Covid orali dovrebbe giungere a breve anche dalla FDA statunitense e dall'EMA europea, cui dovrebbe seguire a stretto giro anche quella dell'AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco.