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Covid 19

Perché i vaccini anti COVID non possono essere prodotti ovunque

Produrre vaccini è un’operazione complessa che può essere eseguita solo in stabilimenti approvati, con infrastrutture e macchinari idonei. In Italia ci sono soltanto due centri coinvolti nella produzione di vaccini, di cui uno specializzato nell’infialamento, mentre l’altro mette a punto farmaci contro la meningite. Ecco quali sono i principali ostacoli nell’ammodernare le industrie nazionali per permettere la produzione dei vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2.
A cura di Andrea Centini
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Da quando è iniziata la campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 in Italia, alla fine dello scorso anno, sono state somministrate in tutto poco più di 4,2 milioni di dosi, come indicato nel portale “Our World in Data”, mentre soltanto 1,4 milioni di persone hanno ricevuto sia la prima che la seconda dose (richiamo). Sono numeri significativi, ma lontanissimi da quelli necessari per ottenere l'agognata immunità di gregge, che a causa della cronica carenza delle dosi potremmo raggiungere solo fra molti mesi. Poiché è fondamentale accelerare la campagna vaccinale per combattere la pandemia di COVID-19, anche alla luce delle nuove varianti, si sta iniziando a pensare di produrre i vaccini anti COVID direttamente sul territorio italiano. Non a caso Farmindustria, l’organizzazione che abbraccia le principali società farmaceutiche del Bel Paese, ha iniziato a fare un “censimento” di quelle che potrebbero essere coinvolte in prima linea, sfruttando i brevetti su licenza dei farmaci già approvati dalle autorità regolatorie.

Sebbene sulla carta possa apparire come un'operazione semplice, all'atto pratico si tratta di un percorso estremamente complesso, costoso e per il quale sarà necessario attendere diverso tempo per poter vedere le prime fiale "fatte e finite". Pur essendo l'Italia (assieme alla Germania) il Paese europeo in cui si producono più farmaci in assoluto, infatti, per quanto riguarda i vaccini veri e propri siamo molto indietro. Dei 27 centri in cui si producono questi peculiari farmaci in Europa, come indicato da Vaccines Europe, soltanto due si trovano in Italia: il primo è lo stabilimento Catalent ubicato ad Anagni, in provincia di Frosinone, il secondo è quello della casa farmaceutica GlaxoSmithKline (GSK) nel comune di Rosia, in provincia di Siena. Lo stabilimento di Anagni è già coinvolto nella campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2, dato che viene sfruttato per il delicatissimo processo di infialamento (o più tecnicamente del “fill and finish”) del vaccino di AstraZeneca. Potenzialmente potrebbe infialare anche i vaccini non ancora approvati “Ad26.COV2.S” di Johnson & Johnson e lo Sputnik V del Gamaleya Research Institute di Mosca, essendo tutti basati su piattaforme simili. Nello stabilimento di GSK si producono invece preziosi vaccini contro il meningococco (un batterio responsabile della meningite), ma grazie a nuovi lavori di adeguamento dovrebbe ospitare anche la linea di produzione del vaccino anti COVID che la casa farmaceutica francese SANOFI sta sviluppando proprio con GSK (gli ultimi dati non sono stati promettenti e si è deciso di prolungare la sperimentazione, che farà slittare il vaccino alla fine del 2021).

Ad ogni modo, pur potendo contare su questi stabilimenti, in essi non potrebbero essere prodotti i vaccini anti COVID più efficaci, ovvero quelli di Moderna-NIAID e Pfizer-BioNTech, poiché si basano su una tecnologia completamente differente (RNA messaggero – mRNA) che necessita di appositi bioreattori. Inoltre va tenuto presente che ad Anagni avviene solo l'infialamento, e non la produzione del principio attivo del vaccino di AstraZeneca, che viene effettuata altrove in Europa. Si tratta dunque di due passaggi completamente differenti nella produzione dei farmaci. I bioreattori dove avvengono le reazioni per “coltivare” i principi attivi dei vaccini sono strumenti costosissimi e altamente sofisticati, per i quali sono necessari mesi di lavori e successive approvazioni da parte delle autorità regolatorie. “I vaccini sono prodotti complessi che richiedono intensa attività di controllo. Possono farli aziende con reparti asettici e sterili e macchinari adeguati. L’Italia ha le competenze e le strutture che possono essere adeguate per produrli. Se si vuole espandere la capacità produttiva servono investimenti rilevanti, ricordando che ogni modifica al processo produttivo deve essere approvata dalle autorità regolatorie”, ha sottolineato il dottor Giorgio Bruno di Farmindustria. L'esperto non ha riportato cifre, ma secondo alcune fonti citate dall'Avvenire, per realizzare un impianto idoneo alla produzione di vaccini a RNA messaggero (come appunto il Moderna e lo Pfizer) ci vorrebbero dai 600 agli 800 milioni di Euro. Se ciò non bastasse, le tempistiche per adeguare un impianto alla produzione di un vaccino del genere andrebbero dai 6 agli 8 mesi, ha spiegato il dottor Bruno. Insomma, tanti soldi e soprattutto tanto tempo, che è il nemico numero uno in questa campagna vaccinale.

Un'altra azienda italiana che può produrre vaccini anti COVID nei propri stabilimenti è la ReiThera SRL di Castel Romano, ma ne sta mettendo a punto uno proprietario – il GRAd-COV2 – che ha recentemente superato la Fase 1 dei test ed è in procinto di entrare nella fase 2 della sperimentazione. Se tutto andrà secondo i piani della casa biotecnologica, l'approvazione del vaccino potrebbe arrivare entro l'autunno, e naturalmente i bioreattori dell'azienda verrebbero sfruttati per la produzione di questo vaccino. Potenzialmente sarebbero in grado di produrre i vaccini di AstraZeneca e Johnson & Johnson, oltre che lo Sputnik V, tutti basati su piattaforme tecnologiche simili (adenovirus), ma difficilmente verrebbero ceduti a terzi per altre preparazioni, essendo in sviluppo un vaccino proprietario. Come sottolineato dal Sole24Ore, ci sono diverse altre realtà che potrebbero iniziare la produzione di vaccini anti COVID su licenza, come l'Haupt Pharma di Latina, la Thermo Fisher Scientific di Ferentino e la Fidia farmaceutici di Abano Terme, ma in tutti questi casi sono necessari ingenti investimenti per l'adeguamento delle infrastrutture e tempo per realizzarle, così come per ricevere le certificazioni necessarie. E va sempre tenuto presente che infialamento e produzione del principio attivo sono due processi completamente separati che richiedono macchinari differenti. Ad ogni modo, le operazioni di ammodernamento richiedono molto tempo, e non a caso il virologo Roberto Burioni in un “cinguettio” su Twitter ha scritto che l'idea di produrre i vaccini direttamente in Italia avrebbe dovuto essere presa quattro mesi fa, quando sono arrivate le conferme della validità dei primi vaccini anti COVID approvati (Pfizer e Moderna). In questo momento siamo in ritardo con la campagna vaccinale, e pianificare la produzione di un vaccino sul territorio nazionale è un percorso tutto fuorché rapido, pur con la precisa volontà delle istituzioni.

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