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Covid 19

Perché chi soffre d’asma ha un rischio ridotto del 30% di essere infettato dal coronavirus

Analizzando i dati di oltre 37mila pazienti sottoposti a tampone oro-rinofaringeo, un team di ricerca israeliano guidato da scienziati del Leumit Health Services di Tel-Aviv e dell’Università “Ben Gurion” ha dimostrato che chi soffre d’asma ha una probabilità del 30 percento inferiore di contrarre l’infezione da coronavirus. Ecco quali potrebbero essere le ragioni.
A cura di Andrea Centini
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Le persone che soffrono di asma hanno il 30 percento delle probabilità in meno di essere contagiate dal coronavirus SARS-CoV-2. Non è chiaro se avere questa comune patologia infiammatoria dell'apparato respiratorio impedisca al patogeno di replicarsi o ne neutralizzi gli effetti, tuttavia ci sono diverse ragioni per cui gli asmatici potrebbero essere in parte protetti dall'infezione: dall'uso degli inalatori a una minore concentrazione del recettore ACE-2 sulle cellule, passando per una più rigorosa adesione alle misure anti-contagio per combattere la pandemia di COVID-19 (mascherine, distanziamento sociale e igiene delle mani).

A determinare che chi soffre di asma ha un rischio inferiore di contrarre l'infezione da coronavirus è stato un team di ricerca israeliano guidato da scienziati del Leumit Health Services di Tel-Aviv e del Barzilai University Medical Center – Università del Negev “Ben Gurion” di Ashkelon, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Facoltà di Medicina “Sackler” presso l'Università di Tel-Aviv. Gli scienziati, coordinati dal dottor Eugene Merzon, a capo del Dipartimento di Managed Care dell'istituto di Tel-Aviv, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le cartelle cliniche di circa 38mila pazienti, tutti sottoposti a tampone oro-rinofaringeo per coronavirus tra il primo febbraio e il 30 giugno di quest'anno. Fra essi, oltre 2.200 risultati positivi.

Dall'analisi dei dati è emerso che il 6,75 percento dei positivi al virus (153 pazienti) aveva l'asma, così come il 9,62 percento (3.388 pazienti) di quelli risultati negativi al tampone. Questa differenza fra i due gruppi, una volta valutati statisticamente fattori in grado di influenzare i risultati come età, sesso, vizio del fumo e presenza di patologie preesistenti (comorbilità), ha mostrato come i pazienti asmatici avessero un rischio inferiore del 30 percento di contrarre l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2.

Secondo gli autori dello studio, come spiegato al The Jerusalem Post dal dottor Merzon, ci sono tre ragioni principali che potrebbero spiegare lo “scudo protettivo” offerto dall'asma. La prima è il fatto che durante la pandemia è stato raccomandato ai pazienti asmatici di proteggersi particolarmente dal virus, proprio alla luce della loro condizione di fragilità. Benché un recente studio condotto dall’American College of Allergy, Asthma and Immunology (ACAAI) ha dimostrato che chi soffre di malattie allergiche (compresa l'asma) non ha un rischio superiore di sviluppare la forma grave della COVID-19, i pazienti asmatici potrebbero essersi protetti meglio con mascherine, distanziamento fisico e altre misure, pertanto potrebbero essere risultati meno colpiti nell'indagine israeliana poiché più aderenti alle linee guida delle autorità sanitarie.

La seconda ragione è la minore concentrazione negli asmatici dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2, meglio conosciuto come "recettore ACE-2". Com'è ormai ampiamente noto, il coronavirus SARS-CoV-2 si lega a questo recettore sulle cellule umane attraverso la proteina S o Spike, che sfrutta come un “grimaldello biologico” per scardinare la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e dar vita al processo di replicazione, che a sua volta innesca l'infezione. In parole semplici, il coronavirus nei pazienti asmatici troverebbe meno porte di accesso, e dunque avrebbe meno possibilità di scatenare l'infezione.

La terza e ultima ragione è legata all'uso degli inalatori, attraverso i quali vengono somministrati farmaci corticosteroidi noti per avere una certa efficacia contro i virus. In pratica l'uso di questi dispositivi medici proteggerebbe gli asmatici anche dall'infezione. Non è un caso che in un nuovo studio nel Regno Unito è stato deciso di somministrare ai pazienti COVID il budesonide, un corticosteroide utilizzato proprio per il trattamento dell'asma. Qualunque sia la ragione di questa protezione, Merzon e colleghi raccomandano che tutti i pazienti asmatici continuino a seguire la propria terapia. I dettagli della ricerca “COVID-19 Susceptibility in Bronchial Asthma” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Allergy and Clinical Immunology.

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