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Covid 19

Osservata lieve riduzione della trasmissibilità nella maggior parte delle varianti del coronavirus

Attraverso un approfondito studio dei dati genomici (filogenesi) del coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dello University College di Londra ha osservato una lieve riduzione della trasmissibilità nella maggior parte dei lignaggi del patogeno, a causa dell’accumulo di mutazioni deleterie.
A cura di Andrea Centini
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Come qualunque altro virus, anche il coronavirus SARS-CoV-2 responsabile della pandemia di COVID-19 che stiamo vivendo muta costantemente. Si tratta di un processo naturale legato alle mutazioni casuali che si generano replicazione dopo replicazione negli ospiti. Talvolta emergono modifiche al patrimonio genetico in grado di fornire un vantaggio al virus, altre volte uno svantaggio. Ma nella stragrande maggioranza dei casi, come spiegano gli esperti, le mutazioni sono del tutto innocue e insignificanti. Quelle che interessano particolarmente gli scienziati sono localizzate sulla proteina S o Spike del coronavirus, la glicoproteina che costella il guscio esterno del patogeno (il pericapside o peplos) utilizzata come un “grimaldello biologico” per scardinare la parete delle cellule, introdurre l'RNA virale e dar vita alla replicazione, il meccanismo responsabile della malattia. Tali mutazioni, infatti, possono ad esempio garantire al coronavirus una maggiore trasmissibilità o magari una capacità di resistere agli anticorpi neutralizzanti, sia dovute a precedenti infezioni naturali che ai vaccini.

Analizzando le variazioni nel patrimonio genomico delle diverse varianti emerse fino ad oggi, un team di ricerca internazionale ha determinato che il coronavirus è diventato sicuramente più trasmissibile rispetto all'inizio della pandemia, tuttavia, a causa dell'accumulo di mutazioni ricorrenti e deleterie proprio a carico della proteina S, in diversi lignaggi si è iniziata a osservare una leggera flessione nella capacità di contagiare. A descrivere questo fenomeno è stata una squadra guidata da ricercatori dello University College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Zoologia dell'Università di Oxford e del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell'Università Nazionale Australiana (ANU) di Canberra. Gli scienziati, coordinati dal professor François Balloux, esperto di Genetica presso l'UCL Genetics Institute dell'ateneo londinese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato a fondo i dati genomici (filogenesi) del SARS-CoV-2 dalle banche dati GISAID. I dati erano aggiornati al 15 aprile 2021, quando è stata condotta l'indagine.

Il professor Balloux e i colleghi hanno rilevato che molte mutazioni e delezioni si ripetono spesso nelle cosiddette varianti di preoccupazione (VoC), come ad esempio la variante sudafricana (B.1.351 o 501Y.V2), la variante inglese (B.1.1.7 o Variant of Concern 202012/01 – VOC-202012/01) e la variante brasiliana (P.1 o Variant of Concern 202101/02 e 20J / 501Y.V3). Una mutazione rilevata in diversi ceppi è ad esempio la E484K, una mutazione di “fuga immunitaria” che renderebbe il patogeno in grado di resistere agli anticorpi. Pur rilevando un aumento della trasmissibilità, gli autori dello studio hanno identificato nei vari lignaggi una tendenza per la sostituzione della citidina con la timidina (C-> T), una mutazione associata “a una riduzione della trasmissibilità stimata”, si legge nell'abstract dello studio. Valutando la trasmissibilità nel suo complesso attraverso i dati genomici, i ricercatori hanno determinato che la variante inglese risulta essere quella più trasmissibile oggi in circolazione; non ha caso un recente studio ha determinato che è fino al 90 percento più trasmissibile del ceppo originale di Wuhan. Tuttavia nella maggior parte dei ceppi si sta osservando una lieve ma significativa riduzione della trasmissibilità.

“Questo modello è coerente con l'aspettativa di un decadimento della trasmissibilità in linee principalmente non ricombinanti causato dall'accumulo di mutazioni debolmente deleterie”, scrivono Balloux e colleghi nell'abstract dello studio. “Il SARS-CoV-2 rimane un patogeno altamente trasmissibile, sebbene una tale tendenza potrebbe plausibilmente svolgere un ruolo nel turnover dei diversi cladi virali globali osservati finora durante la pandemia”, concludono gli esperti. I dettagli della ricerca “A phylogeny-based metric for estimating changes in transmissibility from recurrent mutations in SARS-CoV-2” sono stati caricati sul database online BiorXiv in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.

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