Ora sappiamo cosa ha strappato l’atmosfera a Marte, trasformandolo in un arido deserto
Un team di astronomi della NASA e dell'Università del Colorado (Boulder) ha scoperto che Marte, il quarto pianeta del nostro sistema, ha perduto la sua atmosfera originaria a causa del vento solare e delle radiazioni prodotte dal Sole, che lo avrebbero trasformato nel mondo freddo e desertico che conosciamo. Se ciò non fosse avvenuto, il pianeta rosso molto probabilmente avrebbe avuto ancora oggi abbondanti risorse di acqua allo stato liquido, e magari anche una propria florida biodiversità.
I ricercatori, coordinati dal professor Bruce Jakosky, direttore del Laboratory for Atmospheric and Space Physics presso l'ateneo americano, lo hanno scoperto analizzando i dati provenienti dalla sonda MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile EvolutioN) messi a confronto con quelli raccolti dal lander Curiosity, approdato nel cratere Gale di Marte nell'agosto del 2012. La perdita dell'atmosfera marziana era una teoria ben nota ai ricercatori, tuttavia per la prima volta ne è stato misurato il grado di riduzione e soprattutto sono stati individuati i diretti responsabili.
Il team di Jakosky, che è anche principal investigator della missione MAVEN, ha concentrato le proprie attenzioni su due isotopi del gas nobile argon. Essi, non reagendo chimicamente in quanto ‘nobili', potevano essere proiettati nello spazio solo attraverso il cosiddetto sputtering, un processo fisico legato agli ioni e innescato dal vento solare. Misurando le differenti concentrazioni degli isotopi sulla superficie (con lo spettrometro di Curiosity) e in atmosfera, grazie agli strumenti del MAVEN, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il 65% dell’argon un tempo presente nell’atmosfera marziana si è dissipato nello spazio.
“Combinare queste due misurazioni – ha sottolineato Paul Mahaffy, un ricercatore del Goddard Space Flight Center coinvolto nello studio – ci ha permesso di capire con maggior chiarezza la quantità di argon marziano persa nello spazio nel corso di miliardi di anni”. “Questa è un'ulteriore prova del valore di missioni spaziali che effettuano misure complementari”, ha concluso lo studioso. I dettagli dell'affascinante ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.
[Illustrazione di NASA’s Goddard Space Flight Center]