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Covid 19

Nel Regno Unito si cercano “cavie umane” da infettare deliberatamente col coronavirus

L’Imperial College di Londra, il Royal Free Hospital e la società hVIVO stanno cercando 90 giovani volontari tra 18 e i 30 anni per il primo studio di challenge sul coronavirus SARS-CoV-2. L’obiettivo è infettarli deliberatamente col patogeno per determinare qual è la dose più bassa in grado di scatenare l’infezione, oltre che per testare l’efficacia di un vaccino. Si attende l’approvazione delle autorità competenti.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, mercoledì 21 ottobre, sulla base della mappa interattiva sviluppata dall'Università Johns Hopkins nel mondo sono state contagiate quasi 41 milioni di persone dal coronavirus SARS-CoV-2, e oltre un milione e centomila sono morte per esso. A quasi un anno dalla comparsa del patogeno, non esistono ancora né una cura né un vaccino; per quest'ultimo è tuttavia in atto una vera e propria corsa tra centri di ricerca, laboratori privati, colossi farmaceutici e società di biotecnologie al fine di ottenere una preparazione sicura ed efficace in tempi rapidissimi. Le prime dosi potrebbero essere disponibili persino entro la fine dell'anno, secondo le più rosee previsioni. Per velocizzare le indagini di efficacia, mettere a confronto più vaccini e gettare le basi per le preparazioni dei prossimi anni (che saranno verosimilmente migliori delle prime), nel Regno Unito si stanno gettando le basi dei primi studi di "challenge umano", cioè quelli che prevedono di contagiare deliberatamente le persone col coronavirus per carpire preziose informazioni sull'infezione.

Come specificato dalla BBC, il governo britannico ha già investito 33,6 milioni di sterline nel controverso progetto di ricerca “Human Challenge”, che vede coinvolti tre attori principali: l'autorevole Imperial College di Londra, l'unità di ricerca specializzata e sicura del Royal Free Hospital di Londra e la società specializzata in sperimentazione clinica di malattie infettive hVIVO, nata come costola dell'Università Queen Mary nel 1989. L'obiettivo è coinvolgere 90 partecipanti giovani e sani tra i 18 e i 30 anni, che accettino di farsi infettare deliberatamente col SARS-CoV-2 con una somministrazione nasale. I ragazzi saranno ospitati in un edificio di massima biosicurezza e monitorati 24 ore su 24 per due settimane, al termine delle quali dovrà essere dimostrato che non saranno più contagiosi. Naturalmente saranno pagati per la propria prestazione, con una cifra stimata di circa 4mila sterline (test simili con virus influenzali vengono pagati poco meno).

Nella prima fase del test verrà valutata la carica virale sufficiente per innescare l'infezione, quindi i partecipanti saranno contagiati con dosi crescenti del coronavirus. L'obiettivo di questo studio, come specificato dal professor Peter Openshaw dell'Imperial College di Londra, tra i coordinatori della ricerca, non è infatti far ammalare le persone, ma “far sì che il virus si replichi nel naso”. Nella seconda fase dello studio sarà somministrato un vaccino e successivamente avverrà l'esposizione al patogeno, per comprendere se la preparazione testata determini o meno la protezione immunitaria sperata. Come sottolineato dal virologo Fabrizio Pregliasco a Fanpage, gli studi di challenge sono utili per velocizzare la ricerca, ma non sono semplici.

Il progetto Human Challenge del Regno Unito, del resto, per ora è solo sulla carta, anche se è già disponibile il sito dove potersi candidare per fare da "cavia". Lo studio infatti dovrà ricevere l'approvazione da parte di due importanti istituzioni: la Medicines and Healthcare Regulatory Agency e il comitato etico della NHS Health Research Authority. L'approvazione non è scontata. La ragione risiede nel fatto che la COVID-19, l'infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2, è una malattia potenzialmente fatale, in rari casi anche per giovani e sani come quelli coinvolti nello studio. Sebbene infatti le persone in tarda età e con comorbilità sono la stragrande maggioranza delle vittime della pandemia, decessi si sono registrati a tutte le età. Inoltre ad oggi non esiste una cura contro l'infezione, ma vari protocolli terapeutici che possono eventualmente migliorarne il decorso. In parole semplici, nel caso in cui un partecipante allo Human Challenge dovesse ammalarsi gravemente, non c'è certezza di poterlo curare. Gli organizzatori dello studio sottolineano comunque che la pandemia ha ucciso oltre un milione di persone, e indagini come questa sono etiche proprio perché abbiamo bisogno al più presto di una soluzione per prevenire moltissimi altri morti.

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