Le esperienze di premorte non dimostrano l’Aldilà, ma non lo escludono nemmeno
Vengono definite generalmente Nde (Near Death Experience), si tratta delle esperienze di premorte. Tali fenomeni vengono descritti dai pazienti in vario modo, ma la visione di un tunnel di luce sembra essere onnipresente. Ci sono anche persone che raccontano di essere uscite dal corpo durante un'operazione chirurgica, vedendo tutti i medici attorno al loro corpo. Quando parliamo di "vita dopo la morte" evidentemente le nostre riflessioni vanno ben al di là della portata dei nostri sensi e dello stesso metodo scientifico, non di meno ci sono autori e scienziati che hanno preteso di annoverare i dati riguardanti le Nde come prove dell'esistenza di una vita dopo la morte. Nessuno ad oggi riesce a spiegare come mai il cervello dovrebbe registrare un'esperienza vissuta al di fuori della sua portata, essendo l'anima uscita dal corpo.
Le "prove" spiegate dalla scienza
Solo grazie al fenomeno noto come bias di conferma è possibile definire le Nde "prove". Ovvero, considerare solo i dati che appagano le nostre convinzioni. Un'altro problema è la chiusura alla confutazione. Una teoria infatti per essere considerata scientifica deve anche essere falsificabile. Un teorico della Terra piatta potrebbe lanciarsi con un razzo per dimostrare che il nostro pianeta non è sferico; un creazionista invece potrebbe smentire la teoria dell'evoluzione trovando fossili di conigli in strati geologici risalenti all'epoca dei dinosauri. In che modo un dato empirico potrebbe smentire un fenomeno che trascende la realtà fisica?
Tunnel di luce
Le esperienze di premorte sono documentate, ma anche ripetibili in situazioni cliniche. Sappiamo con un certo grado di certezza cosa succede nei cervelli di questi pazienti durante un'esperienza di Nde.
La visione del tunnel, per esempio, è prodotta da un naturale meccanismo neuropatologico in cui viene a trovarsi il cervello dopo un minor apporto di ossigeno, come può accadere in un trauma cranico, che inibisce l'attività delle cellule nervose; ne consegue quindi un restringimento del campo visivo dando così la sensazione di vedere attraverso un tunnel.
Molto interessante la tesi del cardiologo Pim van Lommel in proposito, il quale però non sembra portare dati nuovi. Potrebbe essere stato condizionato dalla sua stessa specializzazione nel formulare le sue idee:
Durante l'arresto cardiaco, vi sono buone ragioni per dedurre che la coscienza non sempre coincida con il funzionamento del cervello: un'accresciuta consapevolezza, con eventuali percezioni, può talvolta essere esperita separatamente dal corpo.
Le esperienze di "viaggi astrali"
Ovvero essere in grado di uscire dal proprio corpo, sono state testimoniate anche in situazioni che nulla hanno a che fare con condizioni di premorte, per esempio nelle paralisi ipnagogiche. Le cause non sono ancora molto chiare, ma si ritiene che situazioni particolari di affaticamento ed altamente emotive le favoriscano. In psicopatologia questo fenomeno è stato studiato e classificato come "depersonalizzazione somatopsichica". Una inchiesta di Scientific American ha raccolto nel 2011 diversi studi scientifici riguardanti i fenomeni in questione, dove i neurologi hanno potuto anche indurre questi sintomi. Le spiegazioni neurologiche del fenomeno dunque ci sono già.
L'eterno ritorno: rinascere per sempre
Effettivamente un modo per vivere in eterno potremmo già avercelo, ma fatica ad uscire dall'ambito della Filosofia. Si tratta della tesi dell'eterno ritorno dei Greci, ripresa poi anche da Nietzsche. Tutto sarebbe destinato a ripetersi, ogni nostro istante della nostra vita sarebbe quindi scolpito nel tempo, senza la possibilità di ricordare le precedenti versioni della nostra vita. Ma parliamo sempre di tesi chiuse alla confutazione: esperienze come il déjà-vu (la sensazione di aver già vissuto una situazione), o i racconti di vite precedenti a seguito di ipnosi regressiva (usata anche per dimostrare l'esistenza dei rapimenti alieni), non valgono come prove. Questi fenomeni hanno trovato già delle spiegazioni più plausibili dal punto di vista scientifico. La recente scoperta di geni che si riattiverebbero dopo la morte in certi animali è una magra consolazione, a meno che non ci alletti l'idea di poterci risvegliare come zombie, cosa che al momento gli scienziati non riescono comunque a fare.
Matrix e cervelli nella vasca
Infine, tali fenomeni possono essere spesso associati alla convinzione che la realtà fisica non esista, tutto insomma sarebbe una produzione delle nostre menti, oppure – cosa che potrebbe trovare riscontri in alcuni studi di Fisica teorica – potremmo vivere in una sorta di ologramma cosmico, o in una simulazione creata non si sa bene da chi; in questo caso però si esce dal mondo dei fisici per entrare in quello dei filosofi, mediante la suggestiva ipotesi dei cervelli in vasca di Putman. Potremmo in fondo essere dei cervelli collegati a degli apparecchi che simulano la realtà, le esperienze di premorte sarebbero quindi dei "bug di sistema". Tuttavia nessuno ha mai testimoniato durante un viaggio astrale di aver osservato il suo cervello immerso in un liquido o martoriato da elettrodi.
Credere nell'Aldilà non è peccato
In conclusione, va benissimo ipotizzare attorno alla possibilità di un qualcosa di noi che continua ad esistere dopo la morte. Si tratta di una sensazione che ci accomuna tutti, ma quando si parla di "prove scientifiche" occorre farlo liberi da ogni preconcetto, ed accettare tutte le spiegazioni possibili che la realtà ci offre quando la interroghiamo, altrimenti ogni nostra speculazione avrà la stessa attendibilità della teiera di Russell nello Spazio.