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L’aumento dei casi di coronavirus in alcuni Paesi non è una “seconda ondata”, secondo l’OMS

Il dottor Mike Ryan, direttore esecutivo del Programma per le emergenze sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), durante una conferenza stampa ha sottolineato che l’aumento di casi di coronavirus che si sta verificando in alcuni Paesi non è una vera “seconda ondata”, ma una fluttuazione della prima, che è ancora in accelerazione in varie parti del mondo.
A cura di Andrea Centini
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L'aumento dei contagi da coronavirus SARS-CoV-2 che si stanno verificando in diversi Paesi, a seguito delle riaperture post lockdown, non rappresentano una vera e propria seconda ondata, piuttosto di una fluttuazione verso l'alto della prima, che non è mai scesa così in basso per essere definita “conclusa” in termini squisitamente scientifici. A fare questa precisazione è stato il direttore esecutivo del Programma per le emergenze sanitarie dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il dottor Mike Ryan, intervenuto durante una conferenza stampa tenutasi a Ginevra.

Lo scienziato ha sottolineato che buona parte dei Paesi si trova ancora nel cuore del picco epidemico, ed essendo la pandemia un problema globale, come suggerisce l'etimologia della parola, prima di parlare di seconde ondate si dovrebbe perlomeno superare la prima, cosa che i dati non mostrano affatto. Basti pensare che sabato 13 giugno è stato toccato il record di casi in un singolo giorno, quasi 143mila, mentre alla data di oggi, mercoledì 17 giugno, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, si contano in tutto il mondo circa 8,2 milioni di contagiati e 444mila decessi, con un andamento della curva tutt'altro che in rallentamento.

Il fatto che in Italia, in altri Stati europei e negli Stati Uniti si stia entrando nella Fase 3 dell'emergenza, con riavvio quasi completo (pur regolato) delle attività e riaperture ai turisti, ciò non significa che la prima ondata sia stata superata. E anche per i singoli Paesi, in realtà, come specificato dal dottor Ryan non siamo innanzi a un fenomeno di questo tipo. “La malattia non ha raggiunto un livello troppo basso, ha mantenuto un livello basso e poi si è ripresentata un po' più tardi nel corso dell'anno”, ha specificato lo scienziato. In parole semplici, si tratta di una fluttuazione, legata alle riaperture dopo mesi di lockdown che hanno avuto un impatto sociale, economico e psicologico devastante, ma necessari per evitare una catastrofe sanitaria ancor più grave di quella che si è presentata.

La Cina è uno dei Paesi che al momento sta subendo una delle fluttuazioni verso l'alto più preoccupanti, con decine di casi rilevati a Pechino. Ciò ha convinto le autorità a ripristinare le misure draconiane, a cancellare voli e a far ripiombare una parte della popolazione in isolamento. Proprio in merito a potenziali nuovi lockdown, che potrebbero avere un effetto drammatico sulla popolazione già duramente provata dalla prima esperienza, il dottor Ryan sottolinea che potrebbero non essere una strategia efficace su scala regionale/nazionale. Tutto dovrebbe ruotare attorno alla capacità di testare, tracciare e isolare i soggetti positivi, ed eventualmente applicare micro zone rosse per spegnere i focolai. Naturalmente bisogna essere molto bravi in questi processi, per evitare nuove preoccupanti impennate.

Che ci sia una recrudescenza di casi è dunque inevitabile con le riaperture, dato che il virus circola ancora, ma è fondamentale essere in grado di contenerli mantenendo sotto controllo la curva e il fattore Rt. Come specificato a fanpage dal professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso l'Università Statale di Milano, “pensare al peggio” e “immaginare una possibile seconda ondata” è necessario per farci trovare pronti, “ma sempre in un'ottica di vigile e serena attesa, mantenendo ancora dei criteri di buon senso, di igiene e di distanziamento sociale”. Insomma, convivere col virus, fino all'arrivo del vaccino e alla sperabile fine della pandemia.

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