La variante Delta è molto meno sensibile agli anticorpi di guariti e vaccinati
Alla data odierna, mercoledì 8 settembre 2021, in base alla mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins nel mondo sono state registrate oltre 222 milioni di infezioni da coronavirus SARS-CoV-2 e circa 4,6 milioni di decessi per COVID-19 (in Italia le infezioni sono quasi 4,6 milioni e le vittime 130mila). Sebbene questi dati facciano riferimento a un unico patogeno, in realtà si tratta della somma delle diverse varianti circolanti e che si sono diffuse nei mesi scorsi, dal ceppo originale e “selvatico” di Wuhan emerso in Cina alla fine del 2019 alla variante Delta (B.1.617.2, ex seconda indiana) che attualmente sta guidando la terza/quarta ondata di contagi. Proprio quest'ultima è considerata particolarmente preoccupante da parte degli esperti, a causa di una maggiore trasmissibilità (fino al 60 percento superiore alla variante Alfa, che a sua volta era il 50 percento più contagiosa del ceppo di Wuhan); della superiore aggressività, come emerso in Gran Bretagna dove gli infettati hanno un rischio doppio di finire in ospedale rispetto all'Alfa; e dalla presenza di mutazioni di fuga immunitaria nel profilo genetico, che la rendono più “brava” a eludere gli anticorpi neutralizzanti indotti sia da precedenti infezioni naturali che dai vaccini.
Proprio questa spiccata resistenza agli anticorpi neutralizzanti è stata oggetto di un nuovo e approfondito studio, nel quale è stato chiaramente dimostrata la ragione per cui con una sola dose di vaccino si ottiene uno “scudo immunitario” inefficace nel contrastarla. È stato infatti determinato che la variante Delta è circa sei volte meno sensibile agli anticorpi ottenuti dai guariti dalla COVID-19 (causata dal ceppo originale di Wuhan), inoltre è otto volte meno sensibile agli anticorpi neutralizzanti indotti dai vaccini di Pfizer e AstraZeneca. A determinarlo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Cambridge (Regno Unito) e dell'Africa Health Research Institute di Durban (Sudafrica), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Malattie Infettive dell'Imperial College di Londra, del National Centre for Disease Control di Delhi (India), della società biotecnologica Humabs Biomed SA (Svizzera), del CSIR Institute of Genomics and Integrative Biology (India) e di numerosi altri istituti.
Gli scienziati, coordinati dall'illustre professor Ravindra K. Gupta, docente presso il Dipartimento di Medicina dell'ateneo britannico, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una serie di esperimenti e test. Per prima cosa hanno raccolto il siero di individui guariti dalla COVID-19 e dai vaccinati, sottoponendo gli anticorpi ottenuti a test di neutralizzazione in laboratorio. Come indicato, la variante Delta è risultata molto meno sensibile alla loro azione, rispettivamente di sei e otto volte. Ciò può spiegare le cosiddette infezioni rivoluzionarie registrate nei vaccinati e nei guariti causate dalla variante Delta. Per quanto concerne i test con i vaccini, i titoli di neutralizzazione degli anticorpi ottenuti con AstraZeneca sono risultati inferiori rispetto a quelli dei vaccinati con Pfizer.
Il professor Gupta e i colleghi hanno condotto test anche con gli anticorpi monoclonali, osservando una sensibilità compromessa “contro il dominio di legame del recettore (RBD) e il dominio N-terminale (NTD)”. Ciò significa che determinati anticorpi monoclonali potrebbero non garantire l'efficacia clinica sperata nei pazienti contagiati dalla variante Delta. Il ceppo emerso in India ha anche mostrato una una maggiore efficienza di replicazione sia in organoidi delle vie aeree che nei sistemi epiteliali delle vie aeree umane rispetto alla variante Alfa (B.1.1.7, ex seconda inglese). Il dato, assieme alla migliore capacità di legame tra proteina S o Spike e recettore ACE-2 delle cellule umane, può spiegare la superiore trasmissibilità rispetto alla variante che ha guidato la seconda ondata di contagi lo scorso inverno.
Come ultima analisi gli scienziati hanno condotto un'indagine su 130 operatori sanitari infettati dal coronavirus SARS-CoV-2 in tre centri in India durante un periodo in cui circolavano diverse varianti. Incrociando i vari dati, è stato determinato che la variante Delta aveva una capacità di contagiare i soggetti vaccinati (col vaccino di AstraZeneca) ben cinque volte superiore rispetto agli altri lignaggi. Fortunatamente, sebbene siano state riscontrate infezioni rivoluzionarie, la variante Delta non ha dimostrato una patogenicità superiore rispetto a quella delle altre varianti, come invece emerso dal precedente studio britannico. Questi dati dovranno naturalmente essere approfonditi attraverso ulteriori indagini. La vaccinazione è comunque considerata molto efficace nell'evitare il ricovero in ospedale e la morte a causa della COVID-19. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 B.1.617.2 Delta variant replication and immune evasion” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature.