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La dieta del gruppo sanguigno? “Non ha alcun fondamento scientifico”

Un ampio lavoro di ricerca ha cercato di fare chiarezza sulla controversa questione dell’emodieta. I risultati pubblicati dall’autorevole rivista PLOS ONE.
A cura di Nadia Vitali
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A molti sarà capitato di sentirla nominare o, magari, di sperimentarla in prima persona: la dieta del gruppo sanguigno ha costituito e costituisce tuttora un valido orientamento per molti individui, i quali hanno fatto della teoria elaborata dal naturopata Peter D’Adamo alla fine degli anni ’90 un caposaldo della propria alimentazione. Attenzione perché, per chi non lo sapesse, l’emodieta non è un semplice regime da mettere in campo qualora si abbia l’urgenza di dimagrire per presentarsi in forma ad un matrimonio o in spiaggia, bensì di un sistema nutrizionale che si regolerebbe in base alle differenti caratteristiche genetiche di ciascuno e che dovrebbe, quindi, mettere al riparo non soltanto dai chili in eccesso ma soprattutto da disordini del metabolismo e da molte malattie determinate da una cattiva alimentazione: peccato però che tale sistema sembrerebbe destinato ad afflosciarsi su stesso, dal momento che non si reggerebbe su alcun fondamento scientifico. Questa la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’università di Toronto che, guidati dal professor Ahmed El-Sohemy, hanno deciso di indagare sull’emodieta e sui suoi principi fondanti: quasi un atto dovuto dal momento che i proseliti del professor D'Adamo sono numerosissimi ed in costante aumento.

Ma cos'è la dieta del gruppo sanguigno?

Il principio dal quale partì Peter D'Adamo per mettere a punto quello che pensava fosse il sistema di alimentazione ideale è apparentemente plausibile e poggerebbe sulle qualità intrinseche delle glicoproteine che costituiscono i gruppi sanguigni: la scoperta della presenza di tali proteine sulle cellule dell'intestino, e l'osservazione che alcuni enzimi digestivi variavano l'attività proprio a seconda del gruppo, portarono a concludere che fosse possibile stabilire un nesso forte tra apparato gastrointestinale e sangue. Ad A, B, AB e 0 corrisponderebbero differenze ancestrali che andrebbero ad incidere su sistema immunitario, metabolico, sulla predisposizione alle intolleranze o alle allergie, sulla tendenza a sviluppare determinate patologie. Per raggiungere dunque un equilibrio ottimale dell'organismo bisognerebbe rifarsi a tale fattore genetico, in grado di dire qualcosa sulle abitudini dei nostri antenati più distanti nel tempo.

Il gruppo 0, ad esempio, sarebbe quello dei cacciatori e raccoglitori e, dunque, andrebbe associato ad una dieta iperproteica che privilegi la carne, i legumi, le uova e che eviti accuratamente i cereali; quelli del gruppo A, invece, dovrebbero favorire l'alimentazione vegetariana, essendo i discendenti dei primi agricoltori. Perfetti latticini e uova per il gruppo B, eredità delle tribù nomadi, mentre per quelli del gruppo AB è consigliabile un regime onnivoro a metà tra A e B. Ipotesi affascinante che, tuttavia, si scontra con una realtà fin troppo evidente: i gruppi sanguigni, infatti, variano estremamente all'interno delle medesime popolazioni e questo senza che sia possibile rintracciare un nesso tra evoluzione, spostamenti e dieta. Insomma, i presupposti di partenza erano oggettivi ma gli esiti a cui si era approdati restavano opinabili.

Uno studio per verificarne la fondatezza scientifica

Nonostante il vasto successo di pubblico, la totale carenza di fonti scientifiche sull'argomento continuava a destare perplessità in molti: e così qualche mese fa l'American Journal of Clinical Nutrition presentava i risultati di una revisione di tutti gli studi sull'argomento. Scarsini, per la verità, quasi tutti metodologicamente imprecisi e, dunque, tali da non poter costituire una prova della fondatezza dell'emodieta. Ora la ricerca del professor Ahmed El-Sohemy approfondisce ulteriormente la questione, con il giusto merito di aver preso in considerazione un ampio campione composto da 1.455 individui, seguiti con questionari mensili attraverso i quali si raccoglievano informazioni relative all'alimentazione di ciascuno (naturalmente dopo aver stabilito il gruppo sanguigno di ogni volontario).

Sono sempre più a scegliere la dieta vegetariana come alternativa salutare
Sono sempre più a scegliere la dieta vegetariana come alternativa salutare

Le conclusioni, rese note in un articolo pubblicato dall'autorevole rivista PLOS ONE, evidenziano come i profili metabolici dei partecipanti risultino particolarmente positivi soprattutto per coloro i quali seguono i regimi alimentari del gruppo A (vegetariano) e B (che prevede l'assunzione di proteine tramite pesce e uova) ma come tale caratteristica risulti totalmente dissociata dal gruppo sanguigno di appartenenza. In buona sostanza, i sistemi nutrizionali più sani davano risultati migliori il che spiegherebbe senza troppo sforzo come per alcuni iniziare a seguire l'emodieta comporti quasi subito degli effetti benefici sulla salute complessiva; non a caso sono sempre più, in Italia e nel mondo, a scegliere una dieta vegetariana anche per ragioni di salute.

Del resto se è innegabile come la risposta del nostro organismo agli alimenti possa essere determinata anche da precisi fattori genetici, sarebbe comunque impossibile riassumere queste differenze in quattro categorie macroscopiche come quella del gruppo sanguigno: troppi i fattori che sono intrinsecamente collegati e che concorrono a dare origine talvolta anche situazioni di gravi intolleranze o allergie. Senza dubbio l'idea del dottor D'Adamo aveva il merito di essere molto accattivante: ma stabilire delle norme nutrizionali così precise – quasi dei dettami – sulla base di un parametro così vasto e dunque necessariamente impreciso presentava molte controversie che, infatti, sono state portate in luce da El-Sohemy e colleghi.

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