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L’indizio di un incrocio tra Sapiens e Neanderthal è in un cranio

Risale a 55.000 anni fa ed è stato ritrovato in Medio Oriente. E non in Europa, come si potrebbe immaginare.
A cura di Nadia Vitali
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La grotta di Manot, in Israele, dove è stato ritrovato il cranio parziale (REUTERS/Israel Hershkovitz, Ofer Marder & Omry Barzilai/Handout via Reuters)
La grotta di Manot, in Israele, dove è stato ritrovato il cranio parziale (REUTERS/Israel Hershkovitz, Ofer Marder & Omry Barzilai/Handout via Reuters)

In principio in Europa c'era l'uomo di Neanderthal: non uno "scimmione preistorico" dalle ridotte capacità intellettive, ma un ominide che probabilmente condivideva caratteristiche ed inclinazioni con il suo "cugino" homo sapiens. Poi un'ondata migratoria proveniente dall'Africa, presumibilmente passando per il Medio Oriente, portò all'espansione geografica e demografica della popolazione dei Sapiens. Quando accadde ciò? Gli scienziati sostengono tra 60.000 e 40.000 anni fa (millennio più, millennio meno): fu così che il territorio europeo vide il progressivo declino dei Neanderthal "rimpiazzati" dai nuovi arrivati. I termini di questo passaggio possono essere accennati soltanto a grandi linee in virtù della scarsezza di testimonianze ossee di questi primi ominidi che lasciarono l'Africa: cosa abbia portato alla scomparsa dei Neanderthal è tutt'ora oggetto di dibattito.

Incrocio tra specie?

Diversi studi degli ultimi anni hanno spesso cercato la spiegazione di questo fenomeno nella possibilità che tra gli ominidi europei e quelli di origine africana ci fu di fatto un incrocio: ipotesi difficile da verificare ma che, senza dubbio, potrebbe essere avvalorata qualora si trovassero prove di una convivenza ravvicinata delle due specie. Adesso un ritrovamento effettuato in Medio Oriente potrebbe intervenire per fare chiarezza sulla questione: si tratta di un frammento di cranio, rinvenuto nella grotta di Manot, in Galilea Occidentale, e sottoposto ad indagini accurate da un gruppo internazionale di studiosi guidato da Israel Hershkovitz dell'Università di Tel Aviv. I dettagli del lavoro sono stati resi noti attraverso un paper pubblicato da Nature.

Il professor Israel Hershkovitz spiega quali sono le differenze somatiche tra Sapiens e Neanderthal nell'area antistante la grotta di Manot.
Il professor Israel Hershkovitz spiega quali sono le differenze somatiche tra Sapiens e Neanderthal nell'area antistante la grotta di Manot.

Il ritrovamento della Manot cave

Il reperto osseo venuto alla luce recentemente è stato identificato come risalente a 55.000 anni fa: proprio quindi a quel periodo fondamentale durante il quale probabilmente Neanderthal e Sapiens condivisero il territorio europeo (e non solo). Un frammento di cranio riconosciuto come appartenente ad un Sapiens, dal momento che manca la caratteristica protuberanza dell'osso occipitale che distingue i crani dei Neanderthal; analogo per forma a quello degli africani ed europei di epoche più recenti (tra 50.000 e 10.000 anni fa) ma diverso dai fossili degli altri Sapiens di epoche precedenti scoperti nella stessa area. Si può quindi ipotizzare che gli uomini di Manot fossero progenitori in linea diretta dei Sapiens moderni che avrebbero colonizzato l'intera Europa.

Certamente (o quasi) ci fu coabitazione

Un altro aspetto fondamentale del cranio riguarda il sito del ritrovamento. La cava di Manot è infatti parte di una regione nella quale i Neanderthal si trovarono spesso a vivere, soprattutto quando le forti glaciazioni li spingevano lontano dall'Europa verso mete con climi più temperati: del resto il Medio Oriente è una sorta di ponte tra due mondi. Resti di Neanderthal di età simile ritrovati in passato, assieme al nuovo reperto, testimoniano insomma che la zona fu occupata contemporaneamente da neanderthaliani e uomini moderni durante il Paleolitico. Una convivenza che sarebbe durata migliaia di anni e che – è l'ipotesi degli scienziati – potrebbe aver portato forse a quel famoso incrocio tra Sapiens e Neanderthal che avrebbe lasciato una traccia del DNA del cugino europeo nel nostro patrimonio genetico.

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