Interrotto test con alte dosi di clorochina su pazienti con coronavirus: troppi morti
Ad oggi non esiste ancora una cura per la COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, ciò nonostante esistono diversi farmaci promettenti che medici di tutto il mondo stanno testando attraverso l'uso compassionevole. Tra quelli balzati agli onori della cronaca ci sono l'antimalarico clorochina e il suo derivato idrossiclorochina, per i quali sono stati innescati aspri dibattiti pubblici soprattutto in Francia e negli Stati Uniti, dove persino il presidente Donald Trump si è spinto a “promuoverne” uno in associazione all'antibiotico azitromicina. La ragione delle discussioni risiede nei risultati controversi di alcuni piccoli studi, talvolta anche in contrasto fra loro, e soprattutto sulla tossicità dei principi attivi, che possono determinare soprattutto problemi al cuore (l'idrossiclorochina, venduta col nome commerciale di Plaquenil, è meno tossica della clorochina, ma comunque non priva di effetti collaterali).
A peggiorare ulteriormente la “reputazione” dei due medicinali nella lotta alla COVID-19, l'interruzione improvvisa di uno studio brasiliano a causa dei troppi morti tra i pazienti arruolati nella sperimentazione. A condurla scienziati dell'Università dello Stato di Amazonas e della Fundacao de Medicina Tropical Doutor Heitor Vieira Dourado, che hanno collaborato con i dell'Instituto Oswaldo Cruz di Rio de Janeiro, dell'Ospedale Santa Julia, dell'Instituto Nacional de Infectologia Carlos Chagas-FIOCRUZ e di altri centri di ricerca. Gli scienziati, coordinati dal professor Marcus Lacerda, hanno suddiviso gli 81 partecipanti (tutti pazienti gravi affetti da coronavirus e ricoverati a Manaus) in due gruppi; il primo è stato trattato con il cosiddetto “basso dosaggio” di clorochina, ovvero 450 milligrammi per 5 giorni, due volte al giorno solo il primo giorno o dose totale di 2,7 grammi; il secondo con l'alto dosaggio, 600 milligrammi due volte al giorno per 10 giorni o dose totale di 12 grammi.
Durante il monitoraggio gli scienziati brasiliani hanno osservato un'impennata nel tasso di mortalità nel gruppo ad alto dosaggio (+ 17 percento) rispetto a quello del basso dosaggio, con 11 decessi totali in entrambi i gruppi. Lacerda e colleghi hanno inoltre osservato più alterazioni nel ritmo cardiaco nei pazienti che prendevano più clorochina. Come indicato, si tratta di una complicazione nota dell'antimalarico: “Le complicanze includono gravi irregolarità elettriche nel cuore come aritmie, tachicardia ventricolare polimorfa e sindrome QT lunga e aumento del rischio di morte improvvisa”, si legge in un comunicato dell'American Hearth Association dedicato alle complicanze della clorochina. L'impatto dell'antimalarico è stato così significativo che ha obbligato gli scienziati a “interrompere prematuramente” la sperimentazione sui pazienti sottoposti all'alto dosaggio. “I risultati preliminari suggeriscono che il più alto dosaggio di clorochina (regime di 10 giorni) non dovrebbe essere raccomandato per il trattamento con COVID-19 a causa dei suoi potenziali rischi per la sicurezza”, sottolineano Lacerca e colleghi nell'abstract del proprio articolo, disponibile online su MedrXiv e non ancora sottoposto a revisione paritaria.
Gli scienziati hanno notato che la tossicità rilevata è stata più forte nei primi tre giorni di trattamento, inoltre i risultati non confermano affatto che il basso dosaggio sia davvero sicuro. Secondo il professor William Schaffner, docente di malattie infettive presso l'Università Vanderbilt, è probabile che in un campione più ampio di pazienti anche il basso dosaggio possa far emergere problemi cardiaci, come specificato alla CNN. Alla luce del rischio cardiaco un ospedale francese ha deciso di sospendere i trattamenti con l'idrossiclorochina su una ventina di pazienti con COVIDU-19. I risultati dello studio brasiliano dovranno essere confermati da ulteriori approfondimenti, ma un uso su vasta scala degli antimalarici potrebbe non essere la strada migliore per contrastare la COVID-19, come suggerito da alcuni esperti. Ciò nonostante, l'Università di Stanford somministrerà l'idrossiclorochina a 40mila medici e infermieri di diversi Paesi per studiarne il potenziale profilattico, ovvero nella prevenzione della patologia.