Stiamo vivendo in un paradosso: mentre negli Stati Uniti si vaccinano milioni di persone e si parla di ritorno alla normalità, di abbandono delle mascherine e di possibilità di tornare a vedersi, l’India registra centinaia di migliaia di casi e migliaia di vittime ogni giorno. Il paese sta soffocando, così come stanno facendo altre nazioni che non stanno gestendo la pandemia nel modo migliore anche solo per la mancanza di dosi di vaccino da somministrare. E il motivo è sempre e solo uno: se mancano le dosi, è perché mancano i soldi. E se mancano le dosi, ci rimettiamo tutti.
Facciamo un passo indietro. Siamo nei primi mesi della pandemia e gli Stati Uniti versano 1,2 miliardi di dollari ad AstraZeneca per continuare e velocizzare la ricerca sul vaccino. In cambio il paese otterrà 300 milioni di dosi se il vaccino supererà le tre fasi di test. Lo stesso fa il Regno Unito, che a fronte di un investimento importante nella ricerca si assicura 90 milioni di dosi. Si chiamano accordi bilaterali e non hanno riguardato solamente Stati Uniti e Regno Unito: la maggior parte dei paesi ricchi, tra cui l'Unione Europea, si è assicurata milioni di dosi di vaccini prima ancora del loro sviluppo investendo a fondo perduto nella loro ricerca.
È l’elemento che ha contribuito ad avere tutti questi vaccini in tempi così rapidi, perché finanziati da miliardi e miliardi di dollari in arrivo da queste nazioni. C’è solo un problema: questi accordi hanno anche deciso dove arriveranno per primi questi vaccini. Cioè i paesi ricchi. Basti pensare che il 96% delle dosi del vaccino di Pfizer che l’azienda produrrà nel 2021 è già stato comprato da questi paesi, percentuale che sale al 100% quando si parla del vaccino di Moderna. Il risultato? Paesi che rappresentano 16% della popolazione mondiale hanno accumulato più della metà delle dosi (4,2 miliardi) previste per l’anno in corso, lasciando ai paesi a reddito medio basso solo 411 milioni di dosi e a quelli a reddito basso appena 270 milioni di dosi.
Così paesi come il Brasile, l’India e il Nepal non riusciranno ad accaparrarsi un numero sufficiente di dosi per contrastare l’avanzata del virus. Con il risultato che la pandemia durerà di più, i contagi saliranno e le varianti continueranno a nascere. Insomma, è un cane che si morde la coda: noi oggi ci vacciniamo, ma la pandemia continuerà a dilagare perché non ci stiamo preoccupando di aiutare i paesi che da soli non possono sobbarcarsi il costo di questi accordi bilaterali. Il problema è proprio questo: accordi di questo tipo sono alla portata di chi può permettersi di investire a perdere, con il rischio di bruciare nel nulla miliardi di dollari.
Quando si tratta di vaccini, la catena è suddivisa in tre grandi parti: le aziende farmaceutiche, la produzione e la distribuzione. In questa catena le nazioni ricche chiudono accordi da miliardi di dollari con le case farmaceutiche e la produzione, posizionandosi in coda a quest’ultima e appropriandosi delle dosi ancor prima del loro arrivo alla distribuzione. Questo in virtù, appunto, dell’investimento fatto nella ricerca sul vaccino. Qui c’è un altro paradosso: proprio perché è impossibile prevedere quale vaccino arriverà effettivamente a superare i test, i paesi hanno finanziato più aziende (Pfizer, Moderna, AstraZeneca, etc) arrivando ad accordi che prevedono l’approvvigionamento di più dosi di quelle necessarie a vaccinare la loro intera popolazione. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno riservato dosi sufficienti a vaccinare due volte la popolazione americana, tanto che l’attuale situazione positiva è arrivata ancor prima dell’approvazione su suolo statunitense del vaccino di AstraZeneca.
Ma questo metodo vale solo per i paesi ricchi: la maggior parte delle nazioni non possono permettersi investimenti a fondo perduto su vaccini che forse non supereranno i test. Semplicemente non hanno fondi sufficienti per “rischiare” in questo modo o, se lo fanno, sono in fondo alla coda perché capaci di investire somme enormemente inferiori a quelle messe sul piatto da nazioni come gli USA. Una possibile soluzione è quella proposta da Covax, un’associazione che punta ad aiutare 92 paesi di medio/basso e basso reddito ponendosi come intermediari in questi investimenti. In breve, i paesi ricchi versano i soldi a covax e non alle aziende farmaceutiche, portando a costi più bassi dei vaccini e a rischi minori per i paesi, ma anche a un enorme aiuto nei confronti dei paesi più poveri che godrebbero di un supporto nell’acquisto delle dosi. Covax, però, è nata dopo l’inizio della pandemia e ha creato un terzo paradosso: i paesi più ricchi hanno investito sia direttamente negli accordi bilaterali che indirettamente attraverso Covax, ottenendo un doppio primo posto nella fila per le dosi.
C’è poi un ulteriore elemento critico che riguarda i paesi poveri, cioè quello legato all’assenza di un’infrastruttura in grado di sopportare la produzione e la distribuzione dei vaccini. Oltre ai limiti di produzione, per esempio, alcuni farmaci necessitano di una catena del freddo particolarmente efficiente che alcune nazioni semplicemente non possono mettere in atto senza aiuti.
Così si arriva alla situazione attuale, dove da una parte si torna a vivere e dall’altra si bruciano cadaveri in strada. Ma non pensiamo di essere più fortunati, perché è solo apparenza: quella situazione senza controllo in qualche modo colpirà anche a noi. Sotto forma di mutazioni, di varianti che modificando il virus lo renderanno meno soggetto ai vaccini e potenzialmente più pericoloso. Saranno necessarie terze dosi o dosi extra in grado di combattere le varianti di maggiore preoccupazione. Una soluzione con cui rischiamo comunque di continuare a inseguire un virus che non può essere sconfitto solamente dai paesi ricchi. È necessario uno sforzo comune perché è bene ricordare una cosa fondamentale: un virus può diventare una pandemia partendo da una sola persona. E lo stesso può fare una nuova variante.