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Il governo della Catalogna ha dichiarato lo “stato di emergenza climatica”: cosa significa

Dopo Scozia, Galles, Regno Unito e svariate città sparse per il mondo anche il governo della Catalogna ha dichiarato lo stato di emergenza climatica e ambientale. L’obiettivo è ridurre i drammatici effetti dei cambiamenti climatici attraverso politiche ambientali ad hoc. Il plauso della giovane attivista svedese Greta Thunberg.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Tumisu
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Il governo della Catalogna (Generalitat de Catalunya) ha dichiarato lo “stato di emergenza climatica e ambientale”, col virtuoso obiettivo di impegnarsi contro gli effetti sempre più drammatici dei cambiamenti climatici. L'annuncio, fatto da Meritxell Budó i Pla, Ministro della Presidenza e Portavoce del Governo catalano, è stato sottolineato con un tweet anche da Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che ha fatto della lotta al riscaldamento globale la propria missione di vita. La dichiarazione catalana segue di un paio di settimane quella fatta dalla Camera dei Comuni britannica su mozione del leader laburista Jeremy Corbin. Il 28 aprile fu invece il Primo Ministro scozzese Nicola Sturgeon a dichiarare l’emergenza climatica, mentre il giorno successivo lo fece il governo del Galles. Il medesimo atto è stato annunciato da numerose città sparse per il mondo (da Basilea a Melbourne, passando per San Francisco), col coinvolgimento di oltre 40 milioni di persone. Ma cos'è esattamente la dichiarazione dello “stato di emergenza climatica”?

Obiettivi virtuosi. Come indicato da Meritxell Budó i Pla, l'annuncio dello stato di emergenza climatica e ambientale è una dichiarazione politica, mirata al contrasto degli effetti dei cambiamenti climatici. Ciò significa tutela delle risorse naturali; approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili in sostituzione dei combustibili fossili e del nucleare; riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera e altre azioni in favore dell'ambiente. L'obiettivo è quello di contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2° centigradi (meglio 1,5° centigradi) rispetto ai livelli preindustriali, sulla base degli Accordi sul Clima di Parigi del 2015. La dichiarazione dello stato di emergenza climatica è, in parole semplici, uno strumento sul quale plasmare iniziative politiche per il raggiungimento di questi obiettivi, tenendo sempre a mente quali rischi stiamo correndo. Innalzamento catastrofico del livello del mare; desertificazione; fenomeni atmosferici estremi; diffusione delle malattie; guerre; migrazioni di massa incontrollabili; carestie ed estinzioni di numerose specie animali e vegetali sono solo alcuni di essi.

Atto simbolico o misure concrete. Il problema delle altisonanti dichiarazioni di emergenza climatica fatte dai governi locali e nazionali risiede nel fatto che, nella stragrande maggioranza di casi, si è parlato di semplice “impegno”, e non sono state avanzate misure concrete e immediate per il raggiungimento degli obiettivi. Del resto la piena transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili non è “indolore” sotto il profilo economico, e il budget necessario per compierla in moltissimi casi semplicemente non c'è. Va inoltre tenuto presente che molte di queste dichiarazioni sono state rilasciate sulla scia delle proteste degli studenti catalizzate dai “Venerdì per il Futuro” (Fridays for Future), gli scioperi scolastici per il clima ideati dalla giovane attivista svedese, dunque manca un vero slancio verso le politiche ambientali. Basti pensare al nostro Paese, dove il tema dell'ambiente sembra essere del tutto escluso dal (feroce) dibattito politico. Nonostante ciò, esso giocherà un ruolo cruciale alle prossime elezioni europee, e solo dopo di esse avremo un quadro più chiaro su come il Vecchio Continente si impegnerà davvero a contrastare i cambiamenti climatici.

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