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Covid 19

Il coronavirus potrebbe bloccare la produzione di nuovi globuli rossi: sono “bersagli primari”

Analizzando il tessuto polmonare di 79 pazienti uccisi dalla COVID-19, l’infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca internazionale ha individuato indizi che suggeriscono l’aggressione diretta ai danni dei globuli rossi e del midollo osseo rosso, che sarebbe alla base delle complicazioni più gravi.
A cura di Andrea Centini
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Tessuto polmonare di un paziente ucciso dal coronavirus. Credit: Ufficio stampa FEFU
Tessuto polmonare di un paziente ucciso dal coronavirus. Credit: Ufficio stampa FEFU
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La COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, benché innescata da un patogeno respiratorio è in grado di coinvolgere praticamente tutti gli organi e i tessuti del nostro corpo, causando un ampio spettro di condizioni che in taluni casi può portare alla morte del paziente. I meccanismi patologici che determinano le complicazioni più pericolose e in grado di innescare l'insufficienza multiorgano – come la tempesta di citochine e la trombosi – non sono ancora del tutto compresi. Secondo un team di ricerca, dietro potrebbe esservi un aggressione al midollo osseo rosso – responsabile della produzione di globuli rossi e piastrine – e contro gli eritrociti stessi, che gli scienziati considerano un “obiettivo primario” del patogeno emerso in Cina. Questo processo può portare alla morte dei globuli rossi e alla mancata formazione di nuovi, determinando il soffocamento del paziente proprio a causa del loro ruolo nel trasporto dell'ossigeno attraverso l'emoglobina.

A suggerire che il midollo osseo rosso e i globuli rossi siano un bersaglio privilegiato dal coronavirus SARS-CoV-2, e che tale attacco possa essere il “motore” delle complicazioni più gravi , è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati russi dell'Università Federale dell'Estremo Oriente (FEFU), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'International Medical Research Center di Niigata (Giappone) e della Pacific State Medical University di Vladivostok. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Galina Reva del Dipartimento di Medicina Fondamentale dell'ateneo russo, sono giunti alle loro conclusioni analizzando tessuti di 79 pazienti uccisi dalla COVID-19, nei quali hanno individuato prove morfologiche a sostegno della loro teoria. Nello specifico, hanno osservato forme patologiche dei globuli rossi – tipicamente legate ad alcune forme di anemia – sia nei vasi sanguigni che nel parenchima polmonare.

“Il virus entra nell'epitelio, dove si moltiplica, poi entra nel flusso sanguigno e attacca bersagli, che possono essere sia l'epitelio interno (tratto gastrointestinale, polmoni, sistema genito-urinario) che gli eritrociti”, ha spiegato in un comunicato stampa la professoressa Reva. “Sebbene nella maggior parte dei casi vediamo la patologia nel sistema respiratorio, nei polmoni, il virus ha bisogno di cellule epiteliali solo per la riproduzione. Crediamo che l'obiettivo principale del virus sia il midollo rosso, dove danneggia l'endotelio, il tessuto, che normalmente regola la migrazione delle cellule in maturazione nel sangue. Per questo motivo, alle cellule del sistema immunitario accadono cose strane e nei tessuti di vari organi sono stati trovati megacariociti, cellule molto grandi del midollo osseo”, ha aggiunto la scienziata.

Quando il coronavirus attacca e uccide i globuli rossi determina “ischemia cerebrale e anemia”, si legge nell'abstract dello studio. Ciò provoca danni diffusi che coinvolgono i neuroni, i vasi sanguigni, le “barriere” che proteggono gli organi, sfociando in una insufficienza multiorgano letale nei casi più gravi. Nei casi più drammatici non ci sono globuli rossi sufficienti per trasportare l'ossigeno attraverso l'emoglobina, essendo stati distrutti dal virus, pertanto “la ventilazione artificiale non è di supporto”; per aiutare questi pazienti si deve ricorrere a trasfusioni e somministrazione di vitamina B12, scrivono gli autori dello studio. L'attacco al tessuto polmonare produce fibrosi che “è solo la manifestazione più evidente” nei pazienti COVID, ma tali danni possono manifestarsi in tutti gli organi con un parenchima denso come il fegato, i reni, la milza, il pancreas e altri ancora. La fibrosi è una conseguenza subdola poiché potrebbe dare sintomi solo quando la massa raggiunge una certa dimensione, spiegano Galina e colleghi. Inoltre c'è preoccupazione per l'attacco alla polpa bianca della milza, che potrebbe favorire infezioni secondarie.

Alla luce di tutte queste considerazioni, gli scienziati russi e giapponesi ritengono che tra i pazienti più a rischio per COVID-19 grave vi siano quelli con bassi livelli di emoglobina (come gli anziani), chi soffre di diabete, ipertensione, obesità e deficit immunitari come chi è colpito da HIV e cancro. Tutte le considerazioni dovranno naturalmente essere confermate da ulteriori indagini. I dettagli della ricerca “Erythrocytes as a target of SARS-CoV-2 in pathogenesis of COVID-19” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Archiv EuroMedica.

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