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Covid 19

Il coronavirus uccide di più dove l’aria è inquinata

Incrociando i dati dell’inquinamento atmosferico delle contee statunitensi con fattori socioeconomici, indicatori di salute pubblica e tassi di mortalità per l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca americano ha dimostrato che la COVID-19 uccide di più dove le concentrazioni di smog sono più elevate.
A cura di Andrea Centini
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I tassi di mortalità per COVID-19 sono sensibilmente superiori nei luoghi in cui l'aria è fortemente inquinata. In parole semplici, l'infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2 è più letale laddove si registrano i livelli più elevati di smog e in generale di inquinamento atmosferico. L'associazione tra inquinanti – in particolar modo particolato sottile pm 10 e pm 2.5 – e aggressività dell'infezione causata dal patogeno emerso in Cina è stata indagata da diversi studi, tuttavia nella nuova analisi condotta da scienziati americani sono stati inclusi fattori socioeconomici e altri indicatori relativi alla salute pubblica, che ne ‘certificano' i risultati.

A determinare che il coronavirus SARS-CoV-2 uccide di più dove la qualità dell'aria è peggiore è stato un team di scienziati di vari dipartimenti del College of Environmental Science and Forestry dell'Univesità Statale di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i giornalisti investigativi di ProPublica, un'organizzazione senza scopo di lucro che conduce inchieste a tutto campo. Gli scienziati, coordinati dal professor Michael Petroni, docente presso il Center for Environmental Medicine and Informatics dell'ateneo di Syracuse, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver indagato a fondo in che modo il quoziente di rischio respiratorio “National Air Toxics Assessment hazardous air pollutants (HAPs)” e l'indice di rischio respiratorio sono correlati alla mortalità per COVID-19. Gli indici valutano la qualità dell'aria nelle contee statunitensi sulla base di numerosi fattori specifici.

Come indicato, Petroni e colleghi non si sono limitati a “unire i puntini” mettendo in relazione il tasso di mortalità della COVID-19 con l'inquinamento atmosferico di un dato luogo (le contee statunitensi), ma hanno tenuto in considerazione anche lo stato sociale ed economico della popolazione coinvolta e altri indicatori sulla salute di una determinata comunità. Inoltre hanno controllato in modo specifico i livelli di esposizione al particolato sottile pm 2.5 (quello le cui particelle hanno dimensioni pari o inferiori ai 2.5 micrometri) e all'ozono (O3), uno dei principali composti inquinanti dello smog prodotto dal traffico, assai velenoso se inalato in dosi significative.

Incrociando tutti i dati è emerso che nei luoghi in cui l'indice di rischio respiratorio è più elevato – in particolar modo in relazione alla presenza di emissioni diesel e acetaldeide – il rischio di mortalità per COVID-19 è superiore del 9 percento. Il dato è significativo perché mostra come aree notoriamente inquinate ma poco abitate presentano un tasso di mortalità per COVID-19 superiore a quello di aree urbane densamente abitate ma con aria più pulita.

In qualche modo, dunque, i danni prodotti dallo smog favoriscono l'infezione da coronavirus, che probabilmente trova un terreno più "fertile" per aggredire l'organismo, già provato dall'esposizione cronica agli inquinanti. In precedenza uno studio condotto da scienziati della Harvard University T.H. Chan School of Public Health che ha coinvolto oltre 3.080 contee statunitensi aveva dimostrato che dove si registrano concentrazioni di pm 2.5 più elevate la COVID-19 è più letale. I dettagli della ricerca “Hazardous air pollutant exposure as a contributing factor to COVID-19 mortality in the United States” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Environmental Research Letters.

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