“Il coronavirus si trasmette per via aerea”: scienziati esortano l’OMS a modificare le regole
La trasmissione per via aerea del coronavirus SARS-CoV-2 avrebbe un impatto sulla diffusione del patogeno molto più significativo rispetto a quanto indicato dalle principali autorità sanitarie, pertanto un gruppo di oltre 239 scienziati ha deciso di firmare una lettera aperta per esortare l'Organizzazione Mondiale della Sanità a rivedere le proprie linee guida. Ad oggi, come riportato nella pagina delle “domande e risposte” sull'attuale pandemia, l'OMS sottolinea che il principale veicolo di contagio è il cosiddetto droplet, le goccioline che espelliamo quando tossiamo, starnutiamo e parliamo. Poiché esse cadono a terra nel raggio di 1-2 metri, le raccomandazioni principali sono quelle di mantenere il distanziamento sociale di almeno 1 metro (in Italia, negli USA sono 1,8 metri), di indossare la mascherina nei luoghi al chiuso e di lavarsi spesso le mani, con acqua e sapone per 40-60 secondi o con una soluzione idroalcolica per 20-30 secondi. Secondo gli autori della lettera sono consigli appropriati, ma non sufficienti per spezzare la catena dei contagi.
La ragione del limite di queste misure – secondo gli autori della lettera – sta nel fatto che le particelle più piccole (chiamate microdroplets) con dimensioni comprese tra 1 e 5 micrometri possono restare sospese in aria negli aerosol, e viaggiare anche per decine di metri se favorite dal ricircolo. Lo dimostrano vari studi, compresi quelli retrospettivi sul comportamento dei coronavirus della SARS e della MERS, “cugini” del SARS-CoV-2. Secondo l'OMS questo tipo di trasmissione sarebbe possibile principalmente in ambito sanitario, per questo raccomanda a medici e infermieri di indossare mascherine dall'elevato potere filtrante (FFP2/N95) e la costante aerazione dei locali. Ma per gli autori della lettera, guidati dalla professoressa Lidia Morawska dell'International Laboratory for Air Quality and Heath dell'Università del Queensland (Australia) e dal professor Donald K. Milton dell'Institute for Applied Environmental Health dell'Università del Maryland (Stati Uniti), la trasmissione aerea è un problema che riguarda tutti.
Nel documento firmato viene citato uno studio pubblicato su Emerging Infectious Diseases, nel quale si fa l'esempio di contagi veicolati dal sistema di ricircolo di un condizionatore non correttamente impostato (le alette erano rivolte verso il basso e non verso il soffitto); in pratica, il dispositivo avrebbe fatto viaggiare i microdroplet per tutto il locale facendo ammalare persone molto distanti dai positivi. Ma ci sono altri casi. In una chiesa americana, un singolo positivo è riuscito a infettare più di 50 persone durante le prove di canto di un coro (due degli infettati hanno perso la vita), mentre uno studio dell’Università di Nicosia pubblicato sulla rivista specializzata Physics of Fluids ha dimostrato che una leggera brezza (tra i 4 e i 15 chilometri orari) basta per far viaggiare fino a 6 metri le goccioline.
Alla luce di questi e altri studi, gli autori della lettera sottolineano che all'interno dei locali (o magari in un mezzo pubblico) la trasmissione per via aerea può rappresentare un concreto rischio, anche rispettando il distanziamento sociale di 1-2 metri. Come ricordato dagli scienziati, le prove sui microdroplet sono effettivamente incomplete, come del resto lo erano anche quelle sul droplet vero e proprio, ma su di esse sono state stilate le linee guida dell'OMS. Seguendo il “principio di precauzione”, affermano gli studiosi, deve essere dato il giusto peso anche al potenziale rischio legato alla trasmissione aerea e prendere tutte le opportune iniziative. L'OMS ha commentato di essere a conoscenza della lettera firmata dagli scienziati, e che ne sta valutando i contenuti con il proprio team di esperti. Qualora la trasmissione per via aerea dovesse essere rivalutata, potrebbero cambiare in modo significativo anche le misure per spezzare la catena dei contagi. I dettagli della lettera sono stati pubblicati sulla lettera rivista Clinical Infectious Diseases dell'Università di Oxford.