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Covid 19

Il coronavirus reagisce agli anticorpi della SARS, ma la protezione è limitata

Testando gli anticorpi innescati dalla SARS con il coronavirus SARS-CoV-2, un team di ricerca americano ha dimostrato che il ptogeno reagisce all’esposizione, tuttavia la capacità neutralizzante delle immunoglobuline è parziale. L’effetto è limitato soprattutto verso la proteina S o Spike, il “grimaldello biologico” che il coronavirus sfrutta per legarsi alle cellule umane e provocare l’infezione (COVID-19).
A cura di Andrea Centini
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Il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19 che stiamo vivendo da circa un anno, reagisce agli anticorpi indotti dalla Sindrome respiratoria acuta grave o SARS (Severe acute respiratory syndrome), l'infezione scoperta dal medico italiano Carlo Urbani che tra il 2002 e il 2003 provocò circa 800 decessi in vari Paesi. In parole semplici, è stata dimostrata la reattività crociata tra le due patologie, come rilevato anche dall'Accademia cinese delle Scienze nello studio “Cross-reactive neutralization of SARS-CoV-2 by serum antibodies from recovered SARS patients and immunized animals” pubblicato sulla rivista scientifica ScienceAdvances. Nella nuova indagine, a differenza di quella asiatica, è stato tuttavia dimostrato che gli anticorpi della SARS, pur reagendo con il nuovo coronavirus, hanno solo limitate capacità neutralizzanti. In parole semplici, chi è stato infettato dalla SARS difficilmente sarebbe protetto anche dalla COVID-19.

A determinare la reattività crociata degli anticorpi prodotti dalla SARS con il SARS-CoV-2 è stato un team di ricerca americano composto da scienziati del Dipartimento di Microbiologia molecolare e Immunologia e della Divisione di Malattie Infettive dell'Università delle Scienze e della Salute dell'Oregon (Oregon Health & Science University – OHSU). Gli scienziati, coordinati dal professor Fikadu Tafesse, docente presso il Dipartimento di Medicina dell'ateneo di Portland, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver esposto il coronavirus SARS-CoV-2 a dieci anticorpi prodotti dall'infezione da SARS-CoV, il patogeno responsabile della SARS. Gli scienziati hanno preso in esame immunoglobuline che colpivano tutte le porzioni significative del virus, ovvero la membrana, il nucleocapside, il pericapside o peplos (il “guscio esterno” lipidico) e la proteina S o Spike, quella che il coronavirus sfrutta per le legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e avviare la replicazione, che innesca l'infezione.

Il professor Tafesse e i colleghi hanno osservato che la reattività crociata era significativa verso le diverse strutture del virus, tranne che per la proteina Spike, per la quale è stata osservata solo una “parziale neutralizzazione”. Gli scienziati non sono affatto sorpresi di ciò, dato che il virus della SARS è emerso una ventina di anni fa e i coronavirus continuano costantemente a mutare, con una velocità di una o due nuove mutazioni al mese (responsabili anche delle varianti che possono essere più o meno contagiose, aggressive e potenzialmente in grado di eludere i vaccini già in sviluppo). Ricordiamo che il SARS-CoV e il SARS-CoV-2 condividono oltre l'80 percento del patrimonio genetico e l'origine nei pipistrelli, come dimostrato da uno studio condotto da scienziati dell'Università dell'Università di Fudan. Non c'è da stupirsi che almeno in parte gli anticorpi innescati dalla vecchia infezione riescano in qualche modo a interagire con la nuova.

“La nostra scoperta ha alcune importanti implicazioni riguardo l'immunità verso diversi ceppi di infezioni da coronavirus, soprattutto perché questi virus continuano a mutare”, ha dichiarato in comunicato stampa il professor Tafesse. A causa di queste continue mutazioni dei coronavirus, infatti, risulta improbabile poter mettere a punto un vaccino universale in grado di colpire tutti i coronavirus “imparentati”, nonostante la vicinanza genetica. Ma la reattività crociata potrebbe porre un problema anche nella diagnostica; analizzando gli anticorpi nel sangue di un paziente, se la tecnica non è sufficientemente sensibile potrebbe essere possibile confondersi con immunoglobuline che reagiscono con altri ceppi di coronavirus. Ciò potrebbe rendere complicato diagnosticare con precisione soprattutto le infezioni verificatesi più indietro nel tempo. L'elevata propensione alla reattività crociata degli anticorpi tra ceppi distinti di coronavirus umani, spiegano gli scienziati, è un'informazione cruciale per la progettazione di strategie diagnostiche e vaccinali contro la COVID-19”. I dettagli della ricerca “Cross-reactivity of SARS-CoV structural protein antibodies against SARS-CoV-2” sono stati pubblicati su Cell Reports.

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