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Covid 19

Il coronavirus può resistere nell’aria?

Diversi studi scientifici stanno evidenziando la capacità del coronavirus SARS-CoV-2 di circolare e permanere nell’aria, rappresentando un potenziale fattore di contagio, mentre inizialmente si pensava che l’aerosol giocasse un ruolo marginale rispetto al droplet. Alla luce di queste considerazioni, l’OMS e le altre autorità sanitarie potrebbero cambiare le linee guida sull’utilizzo dei preziosi dispositivi di protezione personale.
A cura di Andrea Centini
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Sempre più studi stanno evidenziando la capacità del coronavirus SARS-CoV-2 di circolare e permanere nell'aria, una caratteristica che potrebbe cambiare la strategia per contrastare la diffusione della COVID-19, l'infezione che provoca. In parole semplici, potrebbe essere raccomandato a tutti l'uso delle mascherine chirurgiche. Fino ad oggi, infatti, si riteneva che il metodo principale di trasmissione fosse attraverso il cosiddetto “droplet”, le goccioline espulse dalla bocca quando si tossisce, starnutisce e parla. Ecco perché è considerato fondamentale il distanziamento sociale di almeno un metro. Ciò nonostante, con le nuove evidenze – che andranno confermate da studi ad hoc più approfonditi – il virus potrebbe essere trasmesso attraverso l'aerosol, che resta in aria molto più a lungo rispetto alle microscopiche goccioline.

Questa caratteristica pone un serio problema per i luoghi chiusi, come possono essere ascensori, bagni pubblici, luoghi di lavoro, supermercati e le stanze di un ospedale, dove il virus presente nell'aria avrebbe vita facile a contagiare le altre persone che vi entrano in contatto. Un team di ricerca statunitense guidato da scienziati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) che fa capo ai National Institutes of Health (NIH), ad esempio, in un articolo pubblicato su MedrXiv aveva dimostrato che il coronavirus può resistere nell'aria fino a 3 ore. Un'altra squadra di scienziati dell'Istituto nazionale di allergie e malattie infettive coordinata dal professor Neeltje van Doremalen ha ottenuto il medesimo risultato, dimostrando tuttavia che la contaminazione dell'aerosol da parte del SARS-CoV-2 si dimezza nel giro di 60 minuti. Tracce del virus sono state trovate sugli arredamenti e negli impianti di aerazione degli ospedali di Wuhan, che nelle scorse settimane sono state al centro dell'emergenza per fronteggiare la COVID-19. Il potenziale rischio dell'aerosol è stato citato anche dall'epidemiologo dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) Paolo D'Ancona, affermando che il virus potrebbe disperdersi attraverso questo metodo "negli ospedali con molti pazienti sottoposti a ventilazione meccanica". Ciò potrebbe spiegare in parte l'enorme numero di contagiati che si registra tra gli operatori sanitari. A rendere ancor più problematica la questione, vi sono anche i risultati di un recente studio condotto dalla scienziata Lydia Bourouiba del Fluid Dynamics of Disease Transmission Laboratory presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), secondo i quali le nuvole di gas e goccioline con carica virale espulse durante uno starnuto possono raggiungere i 7-8 metri di distanza.

Queste considerazioni potrebbero spingere le autorità sanitarie come l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie o CDC (Centers for Disease Control and Prevention) americani a rivedere radicalmente le linea guida sull'uso delle mascherine. Fino ad oggi, infatti, la raccomandazione prevede l'uso di questi dispositivi di protezione personale soltanto per le persone malate, per chi sospetta di esserlo e per chi assiste un malato, (al di là delle categorie professionali come gli operatori sanitari e le forze dell'ordine, che sono a maggior rischio contagio). Ma alla luce delle nuove evidenze, tenendo anche presente che si stima che il 25 percento dei contagiati sia asintomatico (ma in grado di diffondere il virus), l'uso delle mascherine potrebbe essere raccomandato per chiunque, o addirittura obbligatorio. È già così in varie parti del mondo, ad esempio a Hong Kong per chi sale sui mezzi pubblici, o in alcuni stati dell'Est Europa, ma presto questa strategia potrebbe essere estesa in tutta Europa e negli USA. Del resto il direttore dei CDC americani, il dottor Redfield, in una intervista alla National Public Radio ha già annunciato che sono pronti per il cambio delle linee guida. Lo stesso ha fatto il professor David Heymann dell'OMS, che alla BBC ha dichiarato che in caso di necessità saranno pronti a intervenire con le opportune modifiche.

A puntare il dito contro la strategia attuale dei Paesi Occidentali che non raccomanda l'uso delle mascherine è stato il professor Sui Huang, biologo molecolare e cellulare presso il prestigioso Institute for Systems Biology (ISB) di Seattle, che in un lungo articolo ha spiegato le ragioni logiche e scientifiche per cui tutti noi dovremmo indossarle. Tra gli esempi citati, le curve di crescita della COVID-19 più “piatte” nei Paesi asiatici dove l'uso della mascherina è abituale, anche in presenza di semplici raffreddori e influenza. Se davvero saranno raccomandate le mascherine, allora sarà necessario produrne una quantità enorme, perché è fondamentale che operatori sanitari, lavoratori in prima linea nel contrasto all'emergenza e pazienti immunodepressi non abbiano mai carenza di scorte.

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