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Il cannabidiolo potrebbe ridurre i danni ai polmoni provocati dall’infezione da coronavirus

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Dental College of Georgia dell’Università di Augusta (Stati Uniti) ha dimostrato che il CBD o cannabidiolo – un principio attivo della cannabis – è in grado di invertire le gravi conseguenze dell’ARDS, una complicanza della COVID-19 che provoca danni ai polmoni e morte. I test sono stati fatti su topi con una forma di ARDS e saranno necessarie tutte le conferme del caso.
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A cura di Andrea Centini
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Una delle complicazioni più serie della COVID-19, l'infezione causata dal coronavirus SARS-CoV-2, è rappresentata dalla cosiddetta “tempesta di citochine”, ovvero una risposta immunitaria dell'organismo sproporzionata all'invasione delle particelle virali. In parole semplici, viene prodotto un numero enorme di proteine infiammatorie che sono in grado di danneggiare gli organi in modo irreversibile, e determinare così la morte del paziente. Possono essere più letali del coronavirus stesso. Quando si innesca questa tempesta di citochine i pazienti possono andare incontro a una condizione chiamata sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS (Acute respiratory distress syndrome), ovvero, un versamento di liquido infiammatorio nei polmoni a causa delle lesioni della parete capillare, che rende necessaria la somministrazione di ossigeno. Ora, in test di laboratorio, è stato dimostrato che un principio attivo della cannabis (il cannabidiolo o CBD) in test di laboratorio è in grado di contrastare l'infiammazione e la riduzione di ossigeno provocata dall'ARDS. Benché non siano ancora chiari tutti i meccanismi, questo composto potrebbe essere alla base di una futura procedura terapeutica contro la COVID-19.

A determinare che il cannabidiolo è in grado di migliorare i livelli di ossigeno, ridurre lo stato infiammatorio dei polmoni e i danni fisici al tessuto polmonare causati dall'ARDS è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati di vari dipartimenti del Dental College of Georgia dell'Università di Augusta, Stati Uniti, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Biologia Cellulare e dello Sviluppo presso l'Università di Alfenas (Brasile) e dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). Gli scienziati, coordinati dal professor Babak Baban, docente presso il Dipartimento di Biologia Orale e Scienze Diagnostiche, nel precedente studio “Cannabidiol Modulates Cytokine Storm in Acute Respiratory Distress Syndrome Induced by Simulated Viral Infection Using Synthetic RNA” pubblicato sulla rivista scientifica Cannabis and Cannabinoid Research avevano dimostrato l'impatto positivo del CBD in modelli murini (topi) con una forma di ARDS indotta; nel nuovo studio hanno determinato che questo meccanismo protettivo potrebbe essere legato all'azione di uno specifico peptide chiamato apelina.

In parole semplici, hanno osservato che i livelli di apelina crollano durante la tempesta di citochine, e che vengono praticamente azzerati con le infezioni più gravi. Questa molecola viene prodotta dalle cellule di diversi organi (come cuore, cervello, polmoni, tessuto adiposo e via discorrendo), e nel nostro organismo, spiega il professor Baban, ha una importante funzione regolatrice nel ridurre la pressione sanguigna e l'infiammazione. Quando ad esempio la pressione si alza per qualche motivo, l'apelina fa in modo di riportare i valori nella norma. Nel caso dei polmoni colpiti da ARDS, l'apelina dovrebbe migliorare il flusso sanguigno e proteggere il tessuto, ma l'infezione virale farebbe crollare i livelli di questo peptide e i danni continuano a peggiorare. Somministrando cannabidiolo a topi colpi da una forma di ARDS (indotta attraverso un virus sintetico), hanno osservato che i livelli di apelina tornano nella norma e viene normalizzata anche l'infiammazione; ciò inverte i sintomi della sindrome, con un miglioramento di ossigenazione e danno polmonare.

Come indicato, non sono chiari i meccanismi che permettono all'apelina di contrastare l'ARDS nei modelli murini, e non è ancora provato che sia proprio l'infezione virale a determinare il crollo nei livelli di questo peptide o se ci siano altre condizioni di fondo, pertanto dovranno essere condotti studi più approfonditi e naturalmente si dovrà passare alla sperimentazione clinica, cioè ai test sull'uomo. Nel caso arrivassero tutte le conferme del caso, potrebbero essere sviluppati agonisti sintetici in grado di aumentare i livelli di apelina – come quelli basati sul CBD – che potrebbero offrire benefici ai pazienti con COVID-19. I dettagli della ricerca “Cannabidiol (CBD) modulation of apelin in acute respiratory distress syndrome” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Cellular and Molecular Medicine.

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