I positivi dopo il vaccino Covid dimostrano che i sieri funzionano
Continuano a fare notizia i casi di persone che risultano positive al coronavirus Sars-Cov-2 a distanza anche di diverse settimane dalla vaccinazione anti-Covid. L’ultima vicenda, in ordine di tempo, è quella di sette infermieri dell’ospedale di Abbiategrasso, in provincia di Milano, che hanno scoperto di aver contratto l’infezione dopo un controllo nonostante avessero tutti ricevuto la seconda dose di Pfizer-BioNtech a gennaio. Un focolaio che ha scosso l’opinione pubblica, così come quello che si è verificato in una Rsa di Cremona, dove quindici ospiti vaccinati tra gennaio e febbraio sono risultati positivi al test del coronavirus. A guardare però bene, come accaduto anche negli altri casi di vaccinati che si sono poi scoperti positivi nel resto d’Italia e anche in altri Paesi, tutte queste persone non hanno sviluppato alcun particolare quadro clinico legato a Covid-19: dimostrazione diretta che i vaccini finora approvati funzionano, proteggendo dalle forme più gravi della malattia e prevenendo ricoveri e decessi, oltre ad essere la controprova che la vaccinazione non elimina di per sé il rischio di contagio, specialmente in una fase come quella che stiamo affrontando – con vaccinazioni rallentate dalla carenza di dosi e una circolazione virale particolarmente attiva in molte regioni.
I casi dei positivi dopo il vaccino Covid
Non è un mistero che per efficacia degli attuali vaccini anti-Covid si intenda la protezione dalla malattia e non dall’infezione. Ne abbiamo parlato anche qui e siamo entrati più volte nel dettaglio, chiarendo che a seconda del prodotto e del suo schema vaccinale – prima e seconda dose a distanza di 3-4 settimane, rispettivamente, per i vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna, oppure richiamo a 12 settimane per AstraZeneca, o singola dose di Johnson & Johnson – i diversi vaccini sono efficaci per l’80% e anche più del 90% nel proteggere dalle forme lievi o moderate di Covid-19, arrivando a proteggere anche al 100% dalle forme gravi e fatali. Dati calcolati sulla base dei casi di Covid-19 che si sono verificati nel corso dei diversi test clinici, molti dei quali condotti prima che emergessero le varianti di Sars-Cov-2, con la possibilità – in alcuni casi già rilevata nei confronti di alcune varianti, come la sudafricana con il vaccino di AstraZeneca – di una minore protezione dalle forme lievi e moderate di Covid, sebbene sia comunque salvaguardata la protezione dalle forme gravi.
Tornando invece al rischio di infezione che, come detto, non può essere escluso, è dunque certamente possibile che le persone vaccinate possano contrarre il virus, anche se i primi segnali di un potenziale contenimento della diffusione virale nelle aree in cui si è raggiunta una buona copertura vaccinale fanno ben sperare. I ricercatori dell’Università di Oxford che hanno sviluppato il siero di AstraZeneca hanno suggerito che una singola dose può ridurre di due terzi la trasmissione di Sars-Cov-2 e, con l’avanzare della campagna di vaccinazione del Regno Unito, anche i medici dell’ospedale di Addenobrooke a Cambridge hanno osservato che una singola dose di Pfizer-BioNTech può ridurre sensibilmente il numero di infezioni asintomatiche.
Dati sostanzialmente confermati da alcuni studi condotti in diversi centri degli Stati Uniti tra medici, operatori sanitari e di pronto soccorso che hanno indicato una riduzione del rischio di infezione dell’80% e fino al 90% dopo due dosi dei vaccini a mRna di Pfizer-BionTech e Moderna. Segnali dei primi effetti della vaccinazione nel mondo reale che da un lato sottolineano l’importanza di condurre campagne di immunizzazione rapide e su larga scala e, d’altra parte, evidenziano i rischi che possono derivare da una copertura vaccinale incompleta, inclusa la mancata riduzione della circolazione virale e la più temuta comparsa di nuove varianti (o ricombinanti) più resistenti ai vaccini.