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Covid 19

Quali sono i benefici (e i rischi) di ritardare la seconda dose di vaccino Covid

Ad analizzare i possibili scenari epidemici è uno studio pubblicato su Science che ha esplorato gli effetti dell’estensione dei tempi del richiamo: “Nel breve termine riduce il numero di casi ma nel tempo una protezione meno robusta può portare a maggiori picchi epidemici e alla comparsa di varianti resistenti”.
A cura di Valeria Aiello
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Ritardare la somministrazione della seconda dose dei vaccini anti-Covid può ridurre il numero di casi nel breve termine, ma l’impatto nel tempo di questa strategia, in termini di trasmissione e comparsa di varianti resistenti, dipenderà dalla forza e dalla durata della protezione conferita da una singola dose. Lo indicano i risultati di un nuovo studio pubblicato da un team di ricerca internazionale che ha esplorato gli effetti dell’estensione dei tempi del richiamo, un approccio adottato fin dal principio dalla Gran Bretagna, e implementato da diversi altri Paesi, tra cui il Canada, dove si è scelto di posticipare la seconda dose in risposta alla limitata disponibilità di vaccini, nel tentativo di ampliare rapidamente il numero di persone immunizzate con una singola iniezione.

Gli effetti della prima dose

L’analisi si è concentrata sui vaccini di Pfizer-BionTech, Moderna e Oxford-Astrazeneca che prevedono uno schema vaccinale a due dosi, con i primi due a base di mRna testati in studi clinici con un richiamo rispettivamente a 3 e 4 settimane, e il terzo che utilizza un vettore di adenovirus non replicante anch’esso testato con un regime di due dosi a distanza di 4 settimane, sebbene nei trial clinici l’intervallo sia stato prolungato anche fino a 12 settimane.

Le iniziali sperimentazioni cliniche, più la successiva epidemiologia sono abbastanza ottimistiche riguardo l’efficacia della prima dose – ha affermato l’autore principale dello studio, Chadi Saad-Roy, ricercatore del Lewis-Sigler Institute for Integrative Genomics dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti – . Tuttavia, non sappiamo ancora in che modo la forza e la durata dell’immunità conferita da una singola dose (o dall’intero ciclo vaccinale o dall’infezione naturale, del resto) persisteranno nel lungo termine”.

vari esiti epidemiologici dipendenti dai regimi di dosaggio. ( A ) Numero cumulativo di casi gravi (a sinistra) e totali (a destra) relativi allo scenario senza vaccino dal momento dell'introduzione del vaccino fino alla fine del periodo di cinque anni successivo all'inizio della pandemia; ( B ) Forza dell'immunità dopo una e due dosi di vaccino calate per diversi regimi di somministrazione / Science
vari esiti epidemiologici dipendenti dai regimi di dosaggio. ( A ) Numero cumulativo di casi gravi (a sinistra) e totali (a destra) relativi allo scenario senza vaccino dal momento dell'introduzione del vaccino fino alla fine del periodo di cinque anni successivo all'inizio della pandemia; ( B ) Forza dell'immunità dopo una e due dosi di vaccino calate per diversi regimi di somministrazione / Science

Gli studiosi hanno utilizzato un modello immuno-epidemiologico per proiettare nel tempo l’incidenza dei casi di Covid-19, nonché il grado di immunità della popolazione, in una serie di regimi di dosaggio del vaccino e ipotesi relative alle risposte immunitarie, indagando sui futuri scenari della pandemia. In particolare, i risultati della loro indagine, pubblicati nel dettaglio sulla rivista Science, indicano che se la risposta immunitaria dopo la prima dose è meno robusta, a fronte di una riduzione del numero di casi nel breve termine, le strategie di somministrazione a singola iniezione determineranno maggiori picchi epidemici successivi.

In una visione più ottimistica – ha spiegato Caroline Wagner, assistente professore presso il Dipartimento di Bioingegneria della McGill University di Montreal, in Canada, e autrice senior dello studio – abbiamo trovato che con l’aumentare della capacità del vaccino, l’aumento dei tassi di vaccinazione o il cambiamento del regime di dosaggio per avvicinarlo al programma di due dosi raccomandato, è possibile mitigare questi effetti epidemiologici a lungo termine, e questo è importante per la pianificazione di programmi di salute pubblica”.

Il rischio di varianti resistenti

Un’altra importante osservazione associata a una risposta immunitaria meno robusta è il potenziale di “fuga immunitaria” del virus, vale a dire la possibilità che Sars-Cov-2 evolva in modo da sfuggire alla risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione o anche dall’infezione naturale, così da continuare a sopravvivere e trasmettersi da persona a persona. Un’ipotesi di cui parlavamo anche qui, osservando che negli individui con immunità parziale, una pressione selettiva da parte dei fattori che inibiscono l’infezione (come gli anticorpi) combinata a una sufficiente trasmissione virale nella popolazione può guidare l’evoluzione verso varianti resistenti.

Almeno una variante del coronavirus è già emersa e può essersi adattata per fuga immunitaria parziale – ha osservato, in riferimento alla variante brasiliana, il biologo evoluzionista e virologo Edward Holmes, membro del National Health and Medical Research Council Australia e professore presso l’Università di Sydney, che insieme ad altri colleghi non coinvolti nello studio ha sviluppato un modello filodinamico sulla fuga immunitaria virale – . La teoria sottolinea che l’evoluzione e la trasmissione di varianti da ospiti infetti con livelli di immunità parziale possono essere importanti. Pertanto, la forza e la durata dell’immunità, e in particolare l’effetto di queste sulla reinfezione sono parametri chiave da determinare”.

Oltre a ciò, gli studiosi hanno anche indicato che basse percentuali di somministrazione dei vaccini nella popolazione possono essere associate a un maggiore aumento dei casi e, verosimilmente, a un potenziale più elevato di adattamento virale. “Ciò sottolinea fortemente l’importanza di un’equa distribuzione globale del vaccino, poiché la fuga immunitaria che si verifica in un’area si diffonderà rapidamente – ha precisato Jessica Metcalf, coautrice dello studio e professore associato della Princeton School of Public and International Affairs – . È quindi imperativo determinare la forza e la durata della protezione dalle forme sintomatiche di Covid e dell’immunità nei confronti della trasmissione attraverso attente valutazioni cliniche (inclusi, ad esempio, studi di controllo randomizzati degli intervalli di dose e test regolari delle cariche virali in individui vaccinati, nei loro contatti, e in coloro che si sono ripresi da infezioni naturali) al fine di applicare le migliori politiche di salute pubblica”.

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