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I pazienti Covid rischiano una malattia autoimmune per tutta la vita, scienziati: “Vaccinatevi”

Mettendo a confronto i campioni di sangue di pazienti Covid ricoverati in ospedale con quelli di un gruppo di controllo, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Stanford ha rilevato che i primi avevano il quadruplo delle probabilità di avere autoanticorpi, ovvero anticorpi che attaccano proteine e/o tessuti del nostro organismo, scambiati come nemici. In diversi casi i livelli di queste immunoglobuline impazzite erano paragonabili a quelli di malattie autoimmuni conclamate.
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A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, martedì 28 settembre, in base alla mappa interattiva messa a punto dall'Università Johns Hopkins dall'inizio della pandemia di COVID-19 si registrano 232,3 milioni di contagi e quasi 4,8 milioni di morti in tutto il mondo (in Italia 4,6 milioni di infezioni complessive e circa 131mila vittime). Sono numeri numeri drammatici in costante aumento, che secondo le previsioni avranno ripercussioni sociali, sanitarie ed economiche per molti anni a venire. Va tenuto presente che una quota significativa di pazienti sopravvissuti dalla forma grave della COVID-19 continua a sperimentare sintomi debilitanti (come quelli legati alla Long Covid) e potrebbe essere esposta a ulteriori condizioni di salute. Un nuovo studio, ad esempio, ha determinato che i pazienti Covid ricoverati in ospedale hanno probabilità sensibilmente maggiori di presentare autoanticorpi nel flusso sanguigno, ovvero anticorpi che attaccano tessuti e/o proteine dell'organismo come fossero nemici. In alcuni casi i livelli di tali autoanticorpi erano paragonabili a quelli di una malattia autoimmune conclamata. Queste conseguenze nefaste della COVID-19 potrebbero durare per tutta la vita  e abbattere sensibilmente la qualità della vita di chi le subisce.

A determinare che la COVID-19 severa può innescare la produzione di autoanticorpi e sfociare in una potenziale malattia autoimmune è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Scuola di Medicina dell'Università di Stanford (Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Medicina Perelman dell'Università Statale della Pennsylvania, dell'Università Philipps di Marburg (Germania), dell'Health Science Center dell'Università del Tennessee e di numerosi altri istituti. Gli scienziati, coordinati dal professor Paul J. Utz, docente di immunologia e reumatologia presso il Dipartimento di Medicina del prestigioso ateneo di Stanford, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato campioni di sangue di pazienti Covid ricoverati in alcuni nosocomi statunitensi e averli confrontati con quelli di un gruppo di controllo, i cui prelievi erano stati effettuati prima dello scoppio della pandemia.

Gli scienziati sono “andati a caccia” degli autoanticorpi nei campioni di sangue di 147 pazienti ricoverati nella prima fase della pandemia, tra marzo e aprile del 2020, scoprendo che erano presenti in circa il 50 percento di essi, mentre erano meno del 15 percento nei campioni del gruppo di controllo. Nello specifico, sono stati identificati autoanticorpi contro le citochine, proteine che aiutano il sistema immunitario a combattere un'infezione, alla stregua di quella scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2. Secondo il professor Utz e i colleghi la comparsa di questi autoanticorpi potrebbe essere legata a un'infezione particolarmente virulenta e persistente, come avviene nei casi gravi di COVID-19. Per un terzo dei pazienti Covid ricoverati erano disponibili campioni di sangue prelevati in giorni differenti, a partire da quello del ricovero; dopo una settimana dall'ospedalizzazione, il 20 percento di essi aveva sviluppato autoanticorpi anche contro i tessuti, che non erano presenti nel giorno dell'ammissione. “In molti casi, questi livelli di autoanticorpi erano simili a quelli che vedresti in una malattia autoimmune diagnosticata”, ha dichiarato il professor Utz in un comunicato stampa. Quando presenti, spiegano gli autori dello studio nell'abstract dello studio, gli autoanticorpi mirano nella maggior parte dei casi agli autoantigeni associati a malattie rare come la miosite, la sclerosi sistemica e altre sindromi. Un sottoinsieme di autoanticorpi diretti contro autoantigeni o citochine si sviluppa “de novo” in seguito all'infezione da SARS-CoV-2. Recentemente un altro studio ha determinato che nel 20 percento dei pazienti che muoiono per Covid la causa è proprio da associare ad autoanticorpi che ostacolano il lavoro del sistema immunitario.

“È possibile che, nel corso di un'infezione SARS-CoV-2 scarsamente controllata – in cui il virus rimane in circolazione per troppo tempo mentre una risposta immunitaria sempre più intensa continua a rompere le particelle virali in pezzi – il sistema immunitario vede frammenti del virus che non aveva visto in precedenza. Se qualcuno di questi frammenti virali assomiglia troppo a una delle nostre proteine, questo potrebbe innescare la produzione di autoanticorpi”, ha affermato il professor Utz. È anche alla luce di questo rischio che lo scienziato ribadisce l'importanza della vaccinazione. I vaccini Covid si basano su una singola proteina (la Spike, quella usata dal patogeno per agganciarsi alle cellule umane) e c'è un rischio sensibilmente inferiore che il sistema immunitario possa dar vita ad autoanticorpi, mentre ad oggi non c'è certezza che chi viene contagiato dal virus sperimenterà la forma lieve della patologia. Sebbene infatti risultano più a rischio le persone anziane, chi ha comorbilità (come diabete e ipertensione) e/o è in condizione di obesità, anche soggetti perfettamente sani possono sviluppare la forma severa della COVID-19.

“Se non sei stato vaccinato e ti stai dicendo: ‘La maggior parte delle persone che si ammalano di COVID lo superano e stanno bene', ricorda che non puoi sapere in anticipo se quando avrai la COVID-19 sarà un caso lieve”, ha dichiarato il professor Utz. “Se hai una brutta infezione, potresti metterti nei guai per tutta la vita perché il virus potrebbe far scattare l'autoimmunità. Non possiamo ancora dire che avrai sicuramente una malattia autoimmune – non abbiamo studiato i pazienti abbastanza a lungo da sapere se questi autoanticorpi sono ancora lì un anno o due dopo, anche se speriamo di studiarlo, ma sicuramente potrebbe accadere. Non vorrei correre questo rischio”, ha chiosato lo scienziato. I dettagli della ricerca “New-onset IgG autoantibodies in hospitalized patients with COVID-19” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Communication.

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