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I coralli zombie minacciano l’ecosistema della barriere tropicali

Uno studio americano ha dimostrato che molte colonie di coralli ritenute sane sono in realtà sterili, un fenomeno catalizzato da una sostanza presente nelle creme solari che sta aggravando il processo di sbiancamento legato al riscaldamento globale.
A cura di Andrea Centini
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Dal 13° Simposio internazionale delle barriere coralline attualmente in corso a Honolulu, la pittoresca capitale delle Hawaii, giunge una notizia estremamente preoccupante sullo stato di salute di questo magnifico emblema della biodiversità, già compromesso dal riscaldamento globale: molte colonie di coralli ritenute sane sono infatti prive di capacità riproduttive, dei veri e propri coralli "zombie" del tutto inutili al ripopolamento inseguito e sperato dai biologi marini. La causa sarebbe correlata a una sostanza presente nelle creme solari che impedisce il normale sviluppo delle larve e danneggia il DNA dei polipi adulti. Il drammatico scenario tracciato dai ricercatori dell'Università della Florida Centrale e dell'Agenzia federale NOAA (Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica) è solo l'ultimo tassello di un puzzle che va in pezzi da diversi anni, con la prospettiva concreta che le future generazioni potranno ammirare lo spettacolo delle meravigliose barriere coralline solo su Internet, libri e documentari. Il fenomeno finito nel mirino degli studiosi è quello del cosiddetto “sbiancamento”, provocato dall'espulsione da parte dei coralli di alghe unicellulari simbionti e fotosintetizzanti chiamate zooxanthellae. Esso è indotto dallo stress cui sono sottoposti i polipi dei coralli a causa dell'aumento delle temperature dei mari, innescato dal riscaldamento globale. Quando questi microorganismi vengono espulsi il corallo comincia a perdere la sua caratteristica colorazione – da qui il nome sbiancamento – e se la condizione di stress perdura, semplicemente muore.

Per rendersi conto della portata del drammatico fenomeno, basti pensare che un recente studio condotto dalla James Cook University sulla Grande barriera corallina australiana, Patrimonio mondiale dell'Umanità che si estende per 2.300 chilometri di lunghezza e 344.400 chilometri quadrati di superficie al largo della costa del Queensland, ha dimostrato che lo sbiancamento ha colpito il 35 percento del totale. Nella nuova ricerca coordinata dal NOAA, i biologi marini hanno monitorato 327 colonie di coralli nell'arcipelago delle Isole Vergini americane e 34 siti ai Caraibi, scoprendo che le speranze di ripresa delle barriere coralline è ulteriormente minacciato dall'infertilità dei polipi "zombie". Prelevando campioni di corallo elkhorn (Acropora palmata), uno dei più diffusi e affascinanti, è emerso che in molti di essi non erano presenti sperma e uova, una caratteristica che per i ricercatori li rende come dei veri e propri morti viventi, essendo incapaci di diffondersi e destinati a scomparire. “Il fenomeno – ha sottolineato John Fauth, biologo dell'Università della California Centrale – è particolarmente evidente nei luoghi con maggiore attività turistica. Tutto questo è piuttosto scoraggiante”.

Il principale indiziato degli studiosi è l'oxybenzone, un composto per filtrare i raggi UV molto comune nei prodotti per la protezione solare. Questa sostanza si trova in alte concentrazioni nelle acque intorno alle più popolari barriere coralline delle Hawaii e dei Caraibi, come dimostrato da uno studio dello scorso anno pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Archives of Environmental Contamination and Toxicology. Gli studiosi del NOAA hanno trovato alte concentrazioni di oxybenzone anche alle Isole Vergini americane, i cui picchi si registrano in associazione alle alte maree. “Pensiamo che la colpa sia degli spray per proteggersi dal sole”, ha spiegato Fauth. “Quando ci si spruzza addosso la sostanza – ha proseguito lo studioso – gran parte di essa finisce sulla sabbia o in acqua, così, quando arriva l'alta marea, il materiale contaminato viene spinto verso il mare”. Si stima che l'oxybenzone sia presente in 3.500 prodotti per la protezione solare e che ogni anno, nelle barriere coralline di tutto il mondo, si accumulino dalle 6.000 alle 14.000 tonnellate di questa sostanza, un quantitativo enorme che interferisce col sistema endocrino degli animali provocandone l'alterazione del DNA. Gli studiosi sottolineano che se si vogliono davvero salvare le barriere coralline è innanzitutto necessario ridurre i gas serra, per limitare il fenomeno del riscaldamento globale e il conseguente sbiancamento dei coralli, inoltre sarebbe doveroso limitare il più possibile l'utilizzo delle creme solari prima di immergersi nei pressi di questi ecosistemi. L'oxybenzone è considerato uno dei composti più efficaci nella protezione dei raggi UV, e poiché l'American Academy of Dermatology non lo ritiene dannoso per la salute umana molto difficilmente i produttori di creme solari vi rinunceranno.

[Foto di copertina di joakant]

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